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Cuoricine, questi sono i miei ultimi racconti. Se può interessarvi, i racconti che ho raccolto nel vecchio forum sono qui. www.corazonsalvaje.org/forum/topic.asp?TOPIC_ID=2766 Se avete voglia di lasciare un commento, per favore potete scriverlo nel topic apposito, Racconti dedicati a CS? E' questo qui https://csforum.forumfree.it/?t=76121529 Grazie e ... buona lettura
28 Ottobre 2022
IL BACIO IN GIARDINO 18) La farfalla Muovendosi con cautela per il lungo corridoio, guardava dietro di sé per accertarsi di non essere seguita. Ecco. Era finalmente arrivata. Aveva aperto la porta ed era scivolata zitta zitta nella grande stanza silenziosa. Con un gesto rapido aveva richiuso l’uscio dietro di sé. Ce l’aveva fatta. Adesso era completamente sola. Si era appoggiata alla parete e aveva respirato profondamente. In fondo si trovava in una situazione insolita, poteva anche essere confortante, anzi, elettrizzante. Era come trovarsi su un’isola deserta. E già l’ombra di un sorriso modificava l’espressione della sua bocca dolorosa: era arrivata. Era nella biblioteca dello zio Francisco Beatrice si era avviata con sicurezza verso il centro della grande libreria. Sapeva perfettamente dove era collocato il libro che cercava, lo zio glielo aveva letto tante volte. Tutti i volumi era disposti con un ordine meticoloso, divisi per argomenti. La ragazza si fermò di fronte al settore storia, controllò un attimo, quindi sfilò il libro pesante che tante volte aveva visto tra le mani dello zio e lo strinse tra le braccia. Che sollievo stare finalmente un po’ in pace in quella penombra profumata di citronella e di alloro e rosmarino, e di tutte le essenze che da sempre venivano rinchiuse nei minuti sacchetti ricamati a punto croce. Nascosti tra un volume e l’altro sulle ampie scaffalature, le piccole bustine odorose profumavano l’aria e tenevano lontani i parassiti dai preziosi libri che dormivano lì ormai da tanti anni. Si era guardata lungamente intorno, lasciandosi portare via dai suoi ricordi Lo zio Francisco. Se n’era andato quando lei era ancora molto piccola, ma lo ricordava bene, e con tanto amore. Anche allora sgusciava dentro quella vasta stanza silenziosa, si nascondeva dietro qualche mobile e rimaneva a guardare lo zio grande e bello che trovava alla scrivania, intento a leggere i suoi libri misteriosi. Leggeva assorto, ma rilassato, le lunghe gambe distese davanti a sé, le caviglie accavallate, il gomito appoggiato al bracciolo dell’ampia poltrona, quella poltrona tanto diversa da tutte le altre presenti nella vasta dimora di Campo Real: di cuoio, severa, senza fronzoli, era proprio una poltrona adatta ad un uomo, e un uomo grande e importante. Tutto in quella stanza era maschile e rigoroso e sapeva di pensieri, progetti, sogni, desideri di uomo. Per la piccola Beatrice che aveva perso suo padre quando aveva solo pochi, anni, stare vicino a un figura maschile, in quell’esercito di donne, significava entrare in un mondo parallelo in cui abitudini, gusti, svaghi, gioie e rammarichi e silenzi differivano completamente da quelli femminili. Come comporli? Beatrice continuava a non saperlo. Lo zio Francisco…..Tutti parlavano di Francisco Aleardi della Valle come di un uomo coraggioso e volitivo, che non aveva paura di nulla Ora, per lei, ricordandolo attraverso i ricordi degli altri, poteva essere difficile mettere insieme tutte quelle immagini che convivevano nella sua memoria. Don Francisco sul cavallo rampante, veloce come il vento, uno scavezzacollo sempre pronto a saltare gli ostacoli più impervi. Il marito della zia Sofia, spesso impaziente, che alzava la voce con la moglie e che era rispettato da tutti. Il padrone di Campo Real, che curava con fermezza e buonsenso le sue proprietà , sempre giusto e sempre attento al benessere di chi lavorava per lui. E infine lo zio immerso nella lettura, nel silenzio e nella solitudine della sua biblioteca, che alzava la testa quando la sentiva entrare e subito si alzava, guardava sotto i tavoli e i mobili dicendo “Chi è entrato? Una topolina? Dove si sarà nascosta? Eccola!” Beatrice scivolò nei suoi ricordi. Entrava piano piano, cercando di non farsi sentire, ma lo zio la vedeva subito, la tirava fuori dal suo nascondiglio, la prendeva tra le braccia e la faceva saltare in alto, in alto. E lei, spaventata e felice rideva e gridava. A casa nessun altro la faceva volare e nessuno le parlava come si parla a una persona grande. Ed effettivamente, ma la piccola Beatrice non poteva capirlo, solo lo zio doveva aver compreso quella bimba silenziosa, ma che si apriva spontaneamente al calore e alla tenerezza, e tirava fuori con chi glielo consentiva quell’allegria e quella gentile arguzia che l’atmosfera di Campo Real, resa pesante e cupa dai rancori implacabili e dal riserbo altezzoso di Sofia, soffocava inesorabilmente. Soffocava anche lui, e si teneva più che poteva lontano da casa sua, e quando vi doveva restare si guardava bene dal lasciarsi coinvolgere dal dispotismo della moglie e si chiudeva nella sua biblioteca. Eppoi, Francisco lo vedeva, era una bimba curiosa di tutto, bisognosa di senso, e lui le raccontava tante storie, le parlava di paesi lontani, mostrandoglieli sul grande atlante, le leggeva dei passi dei suoi libri, le narrava miti greci e leggende messicane, la faceva parlare guardandola con affetto con quei suoi occhi grandi, verdi, penetranti. Beatrice sapeva che quelli erano gli occhi di un gatto, che forse lo zio era un gatto, un gatto coraggioso e aggressivo, ma che sapeva essere così gentile e affettuoso con le persone a cui voleva bene. Ora quegli occhi li aveva visti di nuovo. Ebbe quel pensiero all’improvviso, e ne fu folgorata, ma fu un attimo, fu un pensiero fuggevole, inafferrabile, che se ne andò così come era venuto. Uscì dalla stanza lentamente. Non ce la faceva a tornare nel mondo reale. Non ancora. Con un sospiro si appoggiò alla pesante porta di noce, lo sguardo rivolto davanti a sé, verso il lungo corridoio. Forse nessuno l’aveva capita bene come lo zio. Poi anche quello era finito. E adesso…… Quel corridoio troppo scuro e silenzioso era lo specchio di tutta la grande casa. Qui nessuno ride, nessuno canta. La mamma che si fa piccola piccola per non dar fastidio, Andrea soddisfatto di sé che non si accorge di quello che gli succede sotto gli occhi, Anna come un gatto che si lecca i baffi e si illumina quando guarda Juan, cova, ma non dice nulla, la zia Sofia che osserva tutto e tutto chiude nel suo cuore ostinato.
In questa casa è sempre stato così, solo lo zio Francisco aveva capito che cosa mi mancava, eppure …….è così facile sapere di che cosa gli altri hanno bisogno, che cosa desiderano veramente. Sul serio. E’ così semplice……. . Questa farfalla che è riuscita a trovare uno spiraglio tra queste pesanti tende che tappano le finestre e chiudono fuori il grande caldo del pomeriggio, è entrata con coraggio, leggera, e adesso volteggia per il corridoio e volando ha cambiato tutto, e lo sa. E invece gli esseri umani impacciati, goffi, non sanno volare perché le paure e l’avidità, l’egoismo li rendono troppo pesanti e li inchiodano a terra. Non riescono a capire quelli che hanno vicino, che cosa desiderano. Sono troppo ossessionati dai propri bisogni e rimangono ciechi…... Quante storie. La farfalla lo sa benissimo che cosa vorremmo e ce lo regala a piene mani: leggerezza, aria, luce colore, libertà. Ci regala se stessa senza calcolo, spontaneamente e a guardarla siamo felici. Voliamo come lei, leggeri come lei. Basta, Beatrice. Ricaccia indietro queste stupide lacrime. E la giovane donna percorre svelta il corridoio e sale in silenzio le scale che la portano verso la sua stanza, verso un altro silenzio, un silenzio vuoto.
Da quando si era sposata Anna viveva e si sentiva come sdoppiata. Gustava fino in fondo la propria buona fortuna. Si era sposata lei, non Beatrice. Lei era la signora di Campo Real, la signora giovane, bella e rispettata da tutti. Suoi erano ormai i bauli pieni di quella preziosa biancheria che sua madre e sua sorella avevano ricamato con tanta cura, pomeriggio, dopo pomeriggio, anno dopo anno, sedute vicine a parlare di quelle nozze, di quel fidanzato che c’era sempre stato, fin da quando Beatrice era una bambina, sempre presente nelle chiacchiere della mamma e della zia e sempre assente, lontano, nella realtà. Mai una lettera, mai un pensiero. Ma che stupide. Ricamavano, sorridevano, parlavano di Andrea con rispetto e devozione. Che starà facendo? A che cosa starà pensando? Come avevano fatto a non capire….. Andrea era una figura lontana, un’idea, un ricordo, ma Anna era vera e bella, vivace e seduttiva. E quando l’immagine di un uomo atteso intensamente e ricordato a stento si era materializzata ed era venuta a contatto con la realtà, quell’immagine era diventata un giovane disinvolto e intraprendente che si era incontrato con quell’Anna viva, elusiva e disponibile, mutevole e pronta per lui. E l’aveva subito desiderata a voluta per sé. Il fidanzamento era stato veloce e ora Anna era una donna sposata. E adesso che Juan era venuto a vivere a Campo Real tutto si sarebbe sistemato. Sì, ora lui era arrabbiato con lei, con Andrea, era geloso e la evitava. Eppure Anna sapeva che proprio quella gelosia, il desiderio di averla tutta per sé lo avrebbe ricondotto a lei. E lei l’avrebbe reso folle stimolando il suo senso del possesso, gli avrebbe detto come suo marito la voleva continuamente, lei cercava di respingerlo, ma lui le stava sempre addosso, la assillava, e lei era tanto infelice. Poi l’avrebbe rassicurato, gli avrebbe detto quanto lui fosse superiore ad Andrea, quanto le mancava, sarebbe apparsa sperduta, confusa, una vittima tra le mani avide di suo marito, e così innamorata di Juan….E lui l’avrebbe consolata prendendola tra le braccia e l’avrebbe trascinata ancora una volta in un mare di sensazioni. Si diresse con decisione verso la biblioteca, a cercare della carta da lettere. Aveva terminato la sua e non aveva alcuna voglia di rivolgersi alla suocera. Se mi prende mi attacca sicuramente una della sue asfissianti prediche sulle vere signore, sui doveri, su Andrea, i bisogni di Andrea, il benessere di Andrea... Per carità. Meglio tenersi alla larga. Nella biblioteca ci doveva pur essere il necessario per scrivere. Quella stanza le era quasi sconosciuta. Dopo la morte di Francisco era rimasta sempre chiusa, l’odio che la moglie provava per lui aveva fatto sì che con la sua morte morissero anche le sue cose, i suoi ricordi . Andrea, poi, al suo ritorno, si era scelta come studio una stanza più piccola, l’aveva fatta arredare con mobili moderni, e lì riceveva o semplicemente oziava. Anna non aveva mai osato entrare nella biblioteca quando era ancora vivo Francisco. Aveva paura di suo zio, era grande, scuro e non le parlava quasi mai. Con quella barba nera e quegli occhi scontenti sembrava il diavolo e aveva sempre l’aria di essere arrabbiato, specialmente con la zia. Era sempre spazientito, con la zia, e a volte li aveva sentiti litigare. Anna aveva capito fin da piccola che tra loro due esisteva una forte tensione. In un lampo le tornò in mente un momento preciso; lei giocava seduta in terra, dietro le tende del salotto, succhiando le caramelle che aveva preso dalla bomboniera di cristallo in un momento in cui nessuno la guardava. La zia Sofia parlava di Andrea e di Beatrice, di contesse e matrimoni. Sembrava molto contenta e soddisfatta di sé. Lo zio alzava la voce, diceva che sperava che divenuto grande Andrea avrebbe avuto il buon senso di non darle ascolto, che erano tutte sciocchezze, che si augurava che suo figlio si scegliesse la moglie da solo. “Spero che mio figlio scelga la moglie che vuole”, aveva detto con voce sprezzante. Poi era uscito dalla stanza e la zia Sofia era rimasta lì, a labbra strette, lo sguardo pieno di odio e di rancore. Allora, naturalmente, lei non si era resa conto di che cosa parlassero, ma adesso… E bravo lo zio Francisco che aveva capito tutto. Era rimasta immobile al suo posto, zitta. Pur essendo molto piccola capiva bene qual era il suo interesse, e che la zia Sofia, così impettita e controllata, non avrebbe gradito affatto che si scoprisse che cosa si celava sotto la perfezione in cui sembravano fuse la sua famiglia, la sua casa, la sua vita. No. La zia Sofia non voleva testimoni. E lei era rimasta nascosta succhiando caramelle e facendo tesoro della sua precoce esperienza sul matrimonio e sui rapporti di coppia Girando per la grande biblioteca ripensò con curiosità a suo zio. Chissà che tipo era. E che morte terribile aveva fatto. Il cavallo, la caduta. Si sentì gelare. Questa stanza enorme sempre silenziosa, sempre vuota mi mette i brividi. Sì, è come se fosse morta, come lo zio Francisco, come……… Anna oltrepassò la soglia e rinchiuse rapidamente la porta dietro di sé. Tornò alle sue occupazioni e alla vita e alla grande biblioteca non pensò più.
E anche a Juan in quei giorni capitò di entrare nella biblioteca di Don Francisco. Successe per caso, passò davanti alla porta chiusa mentre si stava dirigendo in giardino, ma trovandosi lì non poté resistere alla tentazione. Si guardò intorno. Nessuno arrivava. Entrò e rivide tutto come quella prima volta. Aveva quattordici anni, allora, e non era mai andato oltre la spiaggia, la taverna e la baracca dove era vissuto. Entrato nella biblioteca, Juan era stupefatto. Non era mai entrato in una stanza così bella, senza tanti fronzoli, semplice, ma che al tempo stesso rimandava a un’aria di vecchie tradizioni, di prosperità e di lusso raffinato ed elegante. Mentre avanzava nella grande stanza i vari elementi gli venivano incontro e sorprendevano la sua vista. Non aveva mai nemmeno immaginato che potessero esistere cose così belle, le tende chiare e leggere che ombreggiavano i vetri, mentre ricche sovrattende di velluto scuro ornavano le grandi finestre; un tavolinetto rotondo di forma capricciosa che reggeva un piccolo perfetto busto di marmo, e poi la grande scrivania alla quale sedeva quello che doveva essere suo padre: un tavolo ampio, austero e imponente, su cui si trovavano, sparsi, un semplice candelabro, delle carte sparpagliate un po’ alla rinfusa, dei libri accatastati casualmente, senza tanta precisione . Era stato l'avvocato Manera che l'aveva portato lì nel suo veloce calessino e per tutto il tempo il ragazzo gli aveva ripetuto che mai sarebbe andato ad abitare in quella casa. L'altro insisteva e lui non voleva ascoltare l’avvocato che gli elencava tutte le opportunità che avrebbe trovato crescendo in quella casa grande e bella dove avrebbe potuto studiare, avrebbe potuto imparare a svolgere un lavoro dignitoso, procurarsi un futuro migliore. Cupo, ostinato, legato suo malgrado da un vincolo di lealtà all’uomo che lo aveva cresciuto - ossessionato da quelle parole che non poteva dimenticare , che gli ordinavano di odiare suo padre, di ucciderlo - si era opposto con tutte le sue forze, ma poi, era entrato in quella stanza, aveva visto l'uomo dall'aspetto autorevole e nobile, l'aveva osservato lungamente, in silenzio e poi aveva guardato i suoi occhi: guardavano i suoi, ed erano pieni di un’attenzione ed un interesse che pian piano si mutavano in comprensione e dolcezza. Allora si era arreso ed era rimasto, ma era durato così poco: suo padre era morto e lui immediatamente era stato scacciato da quella casa. Ora era di nuovo lì. Era arrivato a cavallo, come un pazzo, un uomo forte, spinto da una collera troppo intensa per essere dominata, ma ora Juan non sapeva neppure lui perché era lì, perché era rimasto. Non certo per Anna. Perché era tornato? Perché aveva deciso di per riprendersi Anna? Per creare chiasso e disagio? Ed era restato per un pensiero che solleticava il suo cupo umorismo, di vivere come un sottoposto, amministratore della casa che sarebbe dovuta essere sua? Ma tutto questo ormai aveva perso ogni senso, Anna non gli interessava più. Come ho potuto innamorarmi di una donna come quella? E poi c’era quella ragazza… Perché ora i suoi pensieri erano pieni di un’altra fanciulla. Non si trattava di Anna, era un'altra giovane donna dagli grandi occhi sinceri, dalla bocca dolce e lo sguardo troppo spesso triste. Sì, questo lo teneva legato a Campo Real Si era insinuata silenziosamente nella sua mente e nelle sue emozioni, facendosi spazio, trattenendo su di lei la sua attenzione senza sforzo, senza calcoli e civetteria. Altro che Anna…. Eppure faceva fatica a mettere a fuoco l’immagine che aveva cominciato a formarsi nel suo subconscio: le era apparsa sotto tanti aspetti diversi, con volti così differenti che faceva fatica a metterli assieme. Era stata la piccola furia che gli aveva sbarrato la strada, gli aveva bloccato il cavallo mentre gli intimava di andarsene subito da Campo Real; la giovane suora pallida e tragica che aveva raggiunto vicino alla rupe e che cercava…. Che cosa cercava? Che cosa c'era in quel visino smarrito, disperato? L’aveva poi vista precisa e competente vicino al letto di Angelica malata. Naturalmente decidendo di occuparsi di “quella selvaggia”, e per di più nella camera di un uomo, aveva scandalizzato tutti, ma con la sua pazienza e la sua modestia era andata avanti senza esitare, l’aveva aiutato, aveva anteposto a tutto il suo desiderio di essere utile. Lui la guardava muoversi con grazia per la stanza, infaticabile, sopportando gli sgarbi e le cattiverie di Angelica, serena, pronta a sdrammatizzare e addolcire quella ragazza aspra e insolente. L’aveva vista tra i suoi pari, i suoi familiari, con quei begli occhi tanto spesso pieni di una tristezza che avrebbe voluto allontanare per sempre. Lei rimaneva per lo più silenziosa, un riserbo e un mistero che ne aumentavano la seduzione, ma un attimo dopo era di nuovo diversa, mentre rintuzzava con una risposta garbata e maliziosa qualche attacco della sua dolce sorellina o rispondeva con sorridente umorismo a qualche osservazione fuori luogo. Indulgente e autoironica. Rideva di sé senza mai ridere degli altri Scopriva che Beatrice non era la lamentosa, la perfettina, la lagna mortale dipinta da sua sorella, che anzi era capace di brio e leggerezza. Pesante, greve era invece proprio Anna, con la sua sensualità spessa e senza grazia, le sue passioni cupe e gelose. E lui che all’inizio Beatrice l’aveva giudicata pedante, ottusa….. Che stupido che sono stato. Be’, non avevo proprio capito niente. Uscì dalla biblioteca di suo padre scuotendo la testa, con un sorriso nuovo, e si diresse verso il giardino. Chissà, forse Beatrice era lì.
Si era ritirata nella sua camera per la siesta quotidiana, ma il sonno non voleva venire. Troppo caldo, troppo silenzio, troppe passioni represse fuori e dentro di lei. Restava lì, sdraiata, lo sguardo perduto nei suoi ricordi. Quanti ricordi cupi suscitava in lei la vecchia casa. E quei silenzi. Ormai ne stava diventando preda, la circondavano, ritornavano per rattristarla e farla precipitare all’indietro, verso altri ricordi e altri turbamenti. Eccola di nuovo nel grande salotto di donna Sofia dove verso sera le donne della casa, le signore e le inservienti, recitavano il rosario con le bambine accanto a sé e tutto sembrava tranquillo in quel rituale rassicurante, sempre uguale: nessuno avrebbe mai potuto percepire che cosa si nascondesse sotto tutta quella apparente normalità, che cosa si celasse dietro il volto composto della signora di casa. Quella sera la zia Sofia era stata chiamata fuori dalla stanza “Vostro marito è tornato, signora, e desidera palarvi.” E dopo qualche minuto Beatrice l’aveva seguita, non vista. Aveva tanta voglia di salutare il suo grande zio, che era stato per giorni lontano da casa……. Ma era rimasta incollata dietro la porta, spaventata Li aveva sentiti discutere, lei ritta e composta, lui spazientito e scontento, che ancora parlando aveva cominciato a salire le scale……. “Ci sono ragazzi appena poco più grandi già in grado di difendersi da soli, senza paura di niente. Non parlare. Se vuoi saperlo stai facendo di mio figlio un insicuro, un debole. Adesso basta. Io te lo proibisco. Andrea è perfettamente in grado di controllare quel cavallo e voglio che lo cavalchi tutte le volte che lo desidera. Ti ordino di non intrometterti”. Aveva continuato a salire le scale senza più voltarsi indietro mentre lei, Sofia, impassibile e gelida sibilava :”Voglio solo che abbia una buona educazione. Mio figlio sarà un vero gentiluomo, non un contadino travestito da signore come te. “ Beatrice era rimasta sconvolta da quello che aveva visto e udito e quella sera aveva intuito che la realtà non è sempre quella che ci viene mostrata, che bisogna guardare oltre un volto, un sorriso, una scena preparata come uno spettacolo teatrale. Sì, era sempre stato così, specie a Campo Real. E lei cominciava ad odiarla quella casa così piena di ambiguità, dove volti e maschere, vero e falso si mescolavano, a favorire inganni e giochi di potere. Non voleva più restare lì. Doveva andarsene. Ma poi? Juan? Si alzò di scatto a sedere sul letto. Perché le era venuto in mente Juan? Perché un po’ alla volta aveva cominciato a pensare a lui sempre più spesso? L’aveva scacciato, l’aveva osteggiato, poi aveva imparato a conoscerlo e a rispettarlo. Solo che non c’era solo questo. Più passava il tempo, più pensare a Juan provocava in lei delle inquietudini, delle emozioni che non riusciva a definire. Lui la turbava. La faceva sentire vicina e lontana. La faceva sentire felice e infelice. Oh, avrebbe voluto che se ne andasse! Per scacciare quei pensieri si alzò dal letto e prese in mano il libro che aveva portato con sé dalla biblioteca. Pensava che quei racconti che lo zio le aveva letto tante volte avrebbero potuto darle un po’ di pace, e che il ricordo di ore serene avrebbe potuto riportarle indietro dal passato un po’ di quella gioia. Ma poi successe qualcosa che cambiò la vita di tutti. Dalle pagine del libro erano cadute tre fotografie. Lei le prese in mano osservandole senza capire. La prima era una foto di suo zio, bello, elegante, sicuro di sé come lei lo ricordava. Caro zio Francisco…… C'era poi una foto di Andrea da bambino, con gli occhi sinceri e un sorriso fiducioso… Lei, guardando quel bimbetto, sorrise a sua volta al ricordo di quel suo cugino che allora le sembrava tanto più grande di lei….. Girò il cartoncino e lesse “Il mio piccolo Andrea” . L’ultima foto rappresentava un ragazzino sconosciuto, vestito modestamente, ma che mostrava una sua naturale dignità. Con insistenza le ricordava qualcuno. La fronte corrugata, lei si sforzava, ma non riusciva a capire a chi la faceva pensare. La prese una sorta di malessere. Chi era quel bambino, di chi era quel volto che era rimasto tra le immagini più care conservate da suo zio. Girò ansiosamente la foto e lesse la scritta che vi era riportata “Juan Aleardi della Valle, il mio figlio primogenito” Stupefatta tornò a scrutare l’immagine del ragazzo, e vide che la guardava con uno sguardo diritto nei suoi begli occhi, che erano gli occhi di Francisco, gli occhi di Juan. Che succedeva? Chi era Juan? Tutto era falso, tutto era ambiguo, doppio. Juan che incontrava nella camera di Anna vestito come un masnadiero, lo sguardo insultante, il sorriso beffardo, e ora vedeva aggirarsi per campo Real in abiti eleganti, che sembrava un signore, che camminava con un passo da padrone. Chi era Juan? Tutti erano doppi, Anna, la zia Sofia, la mamma, modesta e calcolatrice. E non sono forse doppia anche io? Chi era lei stessa, con quale diritto giudicava gli altri quando non riusciva neppure più a capire che cosa voleva veramente, che si tappava gli occhi con le mani per non vedere cosa provava per quell'uomo, che aveva disprezzato, che aveva insultato, minacciato, di cui avrebbe voluto guidare i passi, e che ora le faceva battere il cuore al solo vederlo da lontano Deve uscire da quella casa tetra. Deve andarsene. Spaventata, confusa, corre via ciecamente, come a fuggire da se stessa, le sue angosce, le sue paure. Va avanti nel giardino, in mezzo alle aiole, le mani a trattenere il lungo vestito ornato di azzurro, bella senza saperlo, indifesa, persa nel suo smarrimento. Chi sono io, chi la mamma, e la zia Sofia, e Anna, e Andrea…. Chi è Juan…. I piedini calzati dalle scarpette chiare scendono giù per le scale in un mare di foglie cadute. Fugge, semplicemente, e non sa dove andare. Sa solo che deve allontanarsi, che deve scrollarsi di dosso tutta quella falsità. Non vede né sente niente e nessuno, finché il rumore di una corsa concitata non le rivela la presenza di qualcuno che la sta seguendo. Si gira, spaventata. Lo vede. Vede Juan che corre veloce verso di lei. Juan. Lui. Perché? Finalmente… La raggiunge, si avvicina fino a toccarla, la prende tra le braccia senza parlare, come se non potesse fare altro, guardandola negli occhi. E lei lo guarda e perde i suoi occhi in quelli di lui. Juan la stringe, china la testa e porta le sue labbra su quelle di lei. E lei? A lei improvvisamente tutto questo sembra giusto e naturale. Istintivamente accoglie quell’abbraccio e istintivamente lo ricambia rispecchiandosi nei gesti di lui. Abbandona ogni difesa baciandolo a sua volta, lungamente, profondamente: il suo primo bacio, il suo primo brivido.
“Sai a che cosa mi fai pensare? A una farfalla”. Lei scivola nei suoi ricordi, ripensa sorridendo a quel corridoio scuro, al suo spirito abbattuto, a quella farfalla che l’aveva consolata. Tra le braccia di Juan si sente…… così….. Alza lentamente la testa e lo guarda in viso, gli cerca gli occhi, come per leggervi qualcosa. E rivede gli occhi dello zio Francisco, quegli occhi verdi fermi e teneri, intensi, pieni di affetto e di attenzione. Ma in quelli di Juan c’è qualcosa in più, qualcosa che mi fa battere il cuore, che mi fa tremare e mi fa desiderare di essere sempre….. così…... “Proprio a una farfalla. Colorata, luminosa. Leggera. Sì, leggera. Riesci a regalare a tutti un po’ di bellezza, un po’ di libertà. Sei la mia farfalla”, carezzandole piano le palpebre con le sue dita sottili. E lei non risponde. Ora tutto è in sintonia e il suo mondo è tornato in ordine Felice chiude gli occhi e lui prende a baciarli, ma poi passa a baciarle le gote, lungamente, poi le labbra, e poi ancora le labbra, il respiro sempre più veloce mentre la tiene stretta. La farfalla arriva volando veloce, non si vuol perdere la scena. Gira su se stessa, poi intorno a loro, infine si allontana trionfante mentre Beatrice, la tenera, confusa, forte Beatrice continua a sorridere ai suoi ricordi con l’aria di chi la sa lunga.
3 MAGGIO 2019
RITORNO A CAMPO REAL
" Civetta? Ma io direi qualcosa di più.... è.... è....." "Una spudorata? Una svergognata?" suggerisce a sua madre la giovane Celia dalla poltrona in cui è sprofondata. Finora se ne è stata lì zitta, assorta nei suoi pensieri, facendo girare attorno alla punta del piede la preziosa scarpetta nera ricamata a fiori rosa e giallini. Ma l'accenno al capitano....... Appena uscita di collegio, appena entrata nel circuito delle serate e dei balli, Celia è accuratamente occupata a far sparire ogni traccia di inesperienza e ingenuità dalla sua mente e dalla sua persona. Ma mentre la señora Garzia Lopez ammonisce la figlia per la sconvenienza del suo linguaggio, la matrona che le è seduta di fronte esplode " Oh, insomma, Helene. In fondo la bambina non fa altro che dire la pura verità. Gloria ieri ha proprio esagerato. Sempre attaccata ad Aleardi, sempre a sorridergli, a guardarlo a quel modo..... Quello che è troppo è troppo. Non capisco come il colonnello....." "Il colonnello", riprende la terza delle signore riunite nel salotto di casa Garcia Lopez e impegnate a produrre un attento rapporto della serata precedente, "il colonnello ha venti anni più di lei. Un uomo della sua età fa finta di non vedere quando ha una moglie bella e tanto più giovane di lui. Sta' tranquilla. Finché civetta e fa la sciocchina la lascerà fare, ma saprà fermarla al momento giusto......" "Ma la moglie di lui, poverina. Tanto bella, tanto aristocratica, vedersi sotto gli occhi sempre lo stesso spettacolo, sera dopo sera, Gloria sempre attorno a suo marito...... Noi la conosciamo bene, sapete? Siamo amici da sempre della contessa d'Altomonte, e anche della zia di Beatrice, donna Sofia Aleardi della Valle, del figlio, Andrea. Ci aspettavamo tutti che Andrea sposasse Beatrice, ma alla fine lui si è deciso per la sorella più piccola, mentre la contessina se l'è presa il capitano. "Che strano... Ha sposato una sorella invece dell'altra" " Proprio così. La più piccola, Anna, è leggerina, superficiale, ma è un incanto e lui era innamorato cotto, ma in effetti Il matrimonio di Andrea sembra sia stato un fallimento. E adesso anche la nostra Beatrice, a pochi mesi dalle nozze, presa in giro così, davanti a tutti.....Mi dispiace per lei. Ecco. " La figlia la guarda divertita. Sua madre che si dispiace per un'altra donna, specie una "tanto aristocratica e tanto bella." Ma via... "Be', vedremo stasera al nostro ballo se questa commedia continuerà. Perché veramente sta diventando uno scandalo" E così le signore continuano a conversare, a raccontare, a commentare, tutte intente a fare allegramente a pezzi le loro care amiche
Ora Celia è sola. Un uomo, furtivo, le si avvicina. E' il più innamorato, il più tenace, il più disperato dei suoi tantissimi adoratori. Si butta in ginocchio davanti alla sua poltrona e bacia estatico la scarpetta scollata. "Vi adoro, Celia. Voi mi uccidete. Non posso vivere senza di voi. Voglio il vostro amore" La fanciulla si perde in un riso provocante. "Il mio amore? Moltissimi uomini mi hanno posseduto, ma il mio amore non l'ho mai dato a nessuno. Accontentatevi del mio corpo, come tutti gli altri. Il mio cuore lo serbo per me" Così dicendo, incrocia le braccia dietro la nuca e si offre alle brame dell'uomo che, pazzo di passione, la ghermisce e la ama con furore. "Celia, ma perché fai quella faccia da scema?" Risvegliata dalla sua fantasia voluttuosa, indispettita per quel ridicolo ritorno alla realtà, la ragazza prende a scrollare furiosamente il fratellino che, offeso e indignato, le tira un calcio. Celia lo prende per i capelli e lo trascina a terra . Entra di corsa la mamma, e aggiunge il suo carico da novanta "Insomma, bambini, che cosa state combinando? Non vi vergognate di picchiarvi così, come dei selvaggi? Mi meraviglio di te, Celia. Ormai dovresti cominciare a comportarti da signorina ". Bambini!!! Ricacciata tra i bambini, lei! Umiliata, disperata Celia urlando corre in camera sua e si butta sul letto singhiozzando convulsamente. Ma prende subito atto della nuova situazione, tanto promettente, e in un attimo si ricicla. Eccola, povera principessa che piange disperatamente, rinchiusa nella torre del castello. I parenti la tengono prigioniera per impossessarsi delle sue ricchezze e per darla in sposa al loro primogenito, un giovane gobbo e deforme, che tutti i giorni passa da lei, la guarda con lascivia e cerca di impadronirsi del suo corpo e del suo cuore. Ma la coraggiosa Celia resiste. Sa che un giorno arriverà il Principe Azzurro, che spezzerà le catene che la tengono prigioniera e la porterà con sé nel suo castello. Con la piccola bocca semichiusa, trattenendo il respiro, la fanciulla si vede aggirarsi tra le eleganti stanze del castello in cui è entrata sposa e padrona, accanto al suo principe innamorato e felice......
“E questa è la piccola Celia?” La piccola Celia. La bambina. Lei sorride appena, segreta. Non sanno chi sono. Ormai ho diciotto anni, sono una donna. Una donna. Donna. Quella parola piena di mistero rimbomba nella sua testa, alimenta sogni e desideri In realtà, la personcina che, in piedi accanto ai genitori, riceve con loro gli ospiti che, così numerosi, stanno arrivando per il ballo a palazzo Garcia Lopez, lo merita davvero l’appellativo “piccola”. Minuta e delicata, arriva appena alla spalla del padre e agli occhi della madre, una señora ben più provvista e opulenta di lei Sembra, in effetti, quasi una bambina, nel suo vestitino di seta di un giallo tenue ( il suo colore preferito….) che le fascia i fianchi esili e il seno appena abbozzato. Il viso sottile, la massa di riccioli neri, la piccola bocca rotonda sono il suo pezzo forte E soprattutto gli occhi, degli occhi scuri che tiene abbassati nel salotto di sua madre, ma ha già cominciato a far lavorare con intensità nei confronti dell’altro sesso Ha iniziato con i ragazzi più giovani. Ho cominciato a lanciare loro sguardi improvvisi, diretti e provocanti, per poi abbassare subito le palpebre. E ha visto quei giovani reagire prontamente, guardala all’improvviso come non l’avevano mai guardata prima, la ragazzina insignificante e silenziosa. Ma quegli occhi, quello sguardo, a che cosa alludevano? Che cosa promettevano? I ragazzi avevano cominciato a ricercarla, a seguirla, per trovare la conferma di quanto letto in quello sguardo, e l’esaudirsi di quella promessa che vi avevano intravisto e li aveva riempiti di eccitazione. Dopo essersi esercitata un bel po’ con i più giovani, Celia ora è pronta a passare agli uomini. Ha provato con degli estranei, per la strada. Uomini maturi e interessanti, sconosciuti che avevano reagito prontamente alla sua provocazione, che l’avevano seguita e avevano cercato di avvicinarla, ma inutilmente, vista l’ attenta e a continua sorveglianza a cui la fanciulla è sottoposta. Vedrete. Mi avete trascurato, avete sfiorato con lo sguardo il mio corpo esile, annoiati, con sufficienza, ma vincerò io. Il capitano Aleardi…….. Celia solo a pensare al suo nome si sente turbare. E’ talmente bello, aperto, audace…… E su di lui si raccontano certe cose…. Lo chiamavano Juan del diablo. Sarà vero? Sarà vero che è stato un pirata? Ma devo far presto. Parte domani, ho sentito dire. Celia saluta, fa la riverenza, ringrazia, sorride meccanicamente, mentre i suoi occhi corrono sempre verso la porta di ingresso, da dove il capitano deve giungere. Ho solo questa sera per farmi notare da lui, per legarlo a me Se non ci fosse quella maledetta Gloria. Se non ci fosse quella maledetta Beatrice. Di nuovo saluta, di nuovo fa la riverenza, mentre la sua immaginazione si sbriglia. Lei è seducente e provocante. E’ bella e crudele. Tutti gli uomini la desiderano, si getterebbero nel fuoco per lei……. E Celia, la piccola Celia li prende, li usa e poi li butta via scalzandoli col suo piedino indifferente. Due signori si sono suicidati per lei,.Sì, per quella fanciulla dagli occhi stupendi. La chiamano la Lupa. Conscia di quello che il suo sguardo può fare, la ragazza abbassa gli occhi
“Trasparente e serena come l'aurora” mormorò il vecchio ufficiale, mentre con discrezione, ma indubbio interesse, osservava la bella signora Aleardi della Valle. Un leggero sospiro di rimpianto…… se avesse avuto quarant’anni di meno…….. Vestita di un rosa tenue, i capelli biondi che le incorniciavano il viso, la contessina, come tutti la chiamavano, sedeva eretta, ma morbida, rilassata. Diversa da tutte quelle donne brune e pesanti, appariva una figurina irreale, tutta chiara, occhi, capelli, abito su quello scuro sfondo opulento. E risaltava, come luminosa, contro il rosso cupo delle parature, che i decori dorati non riuscivano a rischiarare. Un colore pesante e opaco, che affaticava gli sguardi col suo greve splendore e sembrava riflettere il calore intenso che pervadeva il grande salone illuminato. Lei conversava con sorridente disinvoltura, tranquilla, rispondeva alle osservazioni con cortese interesse. Apparentemente. Perché se, da persona beneducata, controllava le proprie emozioni a meraviglia , dentro di sé la contessina ribolliva.
Ma è proprio possibile che ovunque sia Juan ci debba essere di mezzo un’altra donna….. Beatrice se le vedeva sfilare davanti…. Anna, Angelica, la ragazza dell’osteria, quell’insopportabile ragazzina che gli aveva arredato la casa ( arredato!….), quella Marianna….. e mentre risponde sorridendo a un’osservazione della signora seduta accanto a lei, Beatrice ignora quanto lo scintillio dei suoi occhi aggiunga fascino al suo viso di solito tanto pacato E chissà quante altre ce ne saranno state! In realtà, se avesse potuto sapere quante altre ce n’erano effettivamente state, Beatrice avrebbe avuto molto da sopportare…...Perché, be’ Juan bello lo è sempre stato. E poi quel fare deciso, quell’aria un po’ arrogante, un po’ impaziente…. Fin dall’adolescenza ha sempre travolto un numero impressionante di cuori, e piuttosto spesso si è concesso senza farsi troppo pregare. Meglio lasciar perdere…
Questa, però. Proprio quando le cose avevano cominciato a procedere bene, dopo tante contrarietà, tanto dolore… Beatrice rivede tutto, e si sente stringere il cuore. Solo l’amore di Juan era riuscito a rasserenarla, a farle riprendere sicurezza e gioia di vivere. Solo Juan. E poi arriva questa. E poi somiglia a Anna. Le stesse mossette, gli stessi guardi, l’aria birichina e provocante. Non ci posso credere. Gloria si è sfilato un fiore dai capelli e lo ha infilato nel taschino della giacca di Juan. Di Juan! E mi insultano così, davanti a tutti. Offesa e indignata, Beatrice gira lo sguardo e si allontana col giovane ufficiale che le ha chiesto un ballo. Non vede Juan che, distrattamente, chiaramente pensando ad altro - ma che fa? questa Gloria comincia a diventare proprio invadente- si sfila il fiore dal taschino e lo restituisce alla proprietaria, stupita e confusa. Non vede che la coppia viene raggiunta da due persone provenienti da due parti opposte della sala Il colonnello, vestito da viaggio, si avvicina a sua moglie, in piedi, rossa in viso, il fiore che le scotta in mano, impietrita davanti al capitano Aleardi. L’ufficiale li osserva. Gli è simpatico Juan. E’ un uomo franco, diretto, di lui ci si può fidare. Speriamo che questa sciocchezza di Gloria non rovini i nostri rapporti. Lui e sua moglie sono persone che gli piacciono molto. “Gloria, cara – la guarda con una certa freddezza- sono costretto a portarti via. Ho appena saputo che mia madre non sta bene e voglio andare da lei il più presto possibile. Del resto, una vacanza nella nostra campagna alta farà bene anche a te. Ti vedo un po’ provata, ultimamente. Partiamo immediatamente. Nella carrozza c’è il tuo mantello e delle coperte che stanotte ti ripareranno dal freddo. Ci seguirà la carrozza piccola con la tua cameriera, e i bagagli. Non molte cose, per la verità, non avrai bisogno di grandi toilettes con la vita ritirata che ci aspetta lassù” Gloria alza gli occhi spaventata. Legge nello sguardo del marito delusione e rimprovero. Si sente prendere dalla disperazione. Che cosa ha fatto? Per un capriccio, per una pulsione temporanea e senza futuro ha messo a repentaglio il rapporto con suo marito, il suo caro, buono, paziente, adorato marito. I suoi occhi sono così pieni di confusione, di pentimento, che lui la perdona all’istante. Gli occhi inteneriti del colonnello parlano a quelli addolorati di sua moglie. Grata e sollevata istintivamente gli si fa vicinissima, gli prende la mano. Sì caro. Andiamo. Andiamo subito via di qui “Signorina Celia” La padroncina di casa si è avvicinata silenziosa. “Sono costretto a portare via mia moglie . Preferirei andar via in silenzio, con discrezione. Per non disturbare questa bellissima festa, devo purtroppo rinunciare a congedarmi dai vostri genitori. Posso affidare a voi l’incarico di portare le mie scuse e i miei saluti a loro e a tutti i nostri amici? Al più presto scriveremo e manderemo nostre notizie…..” Scivolano via silenziosi, Gloria aggrappata al braccio del marito che la guarda con indulgenza e infinito affetto.
Sono rimasti loro, Celia e Juan. Adesso! “Capitano, devo parlarvi. Vi prego, seguitemi in giardino.” Juan è perplesso. Che vorrà questa ragazzina. Ha voglia di tornare da sua moglie. Ha bisogno di stringerle la mano, di sentire la sua presenza. Ma che fa? Celia si è stretta contro di lui. Gli lancia un ridicolo sguardo torbido. Sulla punta dei piedi, lo abbraccia convulsamente e mormora agitatissima parole sconnesse. “Juan, ti amo. Gloria se n’è andata, ma ci sono io. Farò tutto quello che vuoi…..” Che seccatura. Anche questa. Juan è proprio stufo. Si libera delle braccia che gli stringono il collo, e, con più foga che tatto, guardando dritto in faccia quella noiosissima ragazzina si lancia in una severissima predica Ma non gliel’ hanno insegnato che che gli uomini sposati si lasciano stare? Ma non sa che……. Ma non è gliel’ha mai detto nessuno che……..
Celia scappa via. Juan si mette in cerca della moglie, gira per il salone,ma rimane deluso. “La contessina aveva mal di testa e poco fa ha lasciato il ballo. Sarà giusto un quarto d’ora” Preoccupato, ora Juan vuole solo raggiungere i padroni di casa per prendere congedo e tornarsene di corsa a casa. C’è chi lo ferma. Chi gli chiede un parere. Chi gli riporta una battuta. Gli occhi foschi, Juan si aggira per i salotti maledicendo quei seccatori che gli fanno perdere del tempo prezioso. Finalmente. Ecco i Garcia Lopez..... Un attimo dopo Juan è nella strada e si precipita verso casa Celia si è nascosta tremante dietro una siepe. Quell’uomo l’ha umiliata, l’ha distrutta. Eccitata, furiosa, pensa solo a vendicarsi. Juan, e anche Gloria e la moglie, la perfettissima Beatrice. L’hanno trattata con indifferenza, come una bambina. L’hanno esclusa. L’hanno fatta soffrire. Ma adesso la pagheranno. Lo so solo io che Gloria è partita con suo marito. Vedrete! Impreca, silenziosa, i piccoli pugni stretti sugli occhi rossi e gonfi
Ancora chiusa nella sua stanza, Beatrice piange. Ha sentito il portone di ingresso sbattere con violenza. Juan se n’è andato…. l’ho lasciato andare via senza dirgli una parola…. Ma dopo quello che ho visto… Juan è un traditore, sempre a caccia. Ma anche lei. Che sfrontata, quella Gloria. La fronte corrugata, gli occhi socchiusi, ripensa furiosa agli avvenimenti della sera precedente. E’ ancora distesa sul letto, la testa che le gira. Non ha dormito affatto ed è sfinita La luce che entra dall’imposta socchiusa crea una colonna d’oro, dal soffitto al pavimento, dove danzano milioni di granelli di polvere lucenti. Ma lei non li vede, come non vede i disegni bizzarri che la luminosità del primo mattino imprime sulle tende. Assorta nei suoi pensieri, cupa, si sente piuttosto imprigionata in un cono d’ombra, che le preme addosso e le fa battere le tempie. Pensa, rimugina, immagina complicati progetti di vendetta, ma Beatrice è una ragazza onesta, in fondo sa che la ferita al suo orgoglio amplifica i fatti, deforma la realtà Si impone di ragionare con calma e così, a mente più fredda, in effetti comincia a inquadrare le cose con maggiore obiettività. Comincia ad ammansirsi. In fondo, che ha fatto di male, Juan. E’ lei che gli gira sempre intorno. Lui non la cerca mai... Dopo tutto quel fiore non glielo ha mica chiesto lui. Ha giudicato troppo in fretta? Ha sbagliato a condannarlo senza neppure dargli la possibilità di spiegarsi? E adesso lui è andato via, e per dieci giorni non potrò parlargli, non potrò stringerlo. Juan…… Dopo un’ora di riflessioni e ripensamenti Juan è perdonato, e le lacrime di Beatrice sono ora lacrime di rimpianto e di desiderio.
“Signora, hanno appena consegnato questa lettera.i. L’ha portata un ragazzino tutto cencioso. Me l’ha messa in mano ed è subito scappato via” “Contessina, con tutte le vostre arie non siete riuscita a tenervi vostro marito L’ho visto con i miei occhi imbarcarsi stamattina insieme a quella Gloria che tanto ha corteggiato, sotto gli occhi di tutti. Entro stasera tutta la città saprà e riderà di voi” Le lacrime di Beatrice si sono prosciugate. Juan e Gloria! Ma è impossibile. Stamattina Juan era qui, mi cercava, mi implorava di aprirgli E se quella Gloria si fosse fatta trovare sulla sua strada. Se Juan per ripicca, per vendicarsi di lei…… Ma no, sono tutte sciocchezze. Eppure... “Mercedes, corri a casa del colonnello” prende in mano un libro a caso “porta questo alla signora, me la chiesto proprio l’altro giorno...” La ragazza viene spedita di corsa a casa di Gloria, ma ben presto è di ritorno, agitata e perplessa. Non sa proprio spiegarsi Il palazzo è chiuso. Finestre e portone sono sbarrati. Nessuno sa dove siano andati il colonnello e la signora. Nessuno ha visto nulla. È un vero mistero. Beatrice è allibita. Juan e Gloria sono fuggiti insieme. Il colonnello è subito partito per cercare di raggiungerli. Li cercherà, chiederà a Juan soddisfazione. E lui si batterà. Per Gloria Soffoca. Deve andar via, Deve andarsene subito. Esce dalla sua stanza imbambolata. Cerca la cameriera per darle i suoi ordini . Un attimo, ed è già pronta per la partenza
Così, racchiuso tra le sue manine avide il destino di tre persone, la piccola Celia ha distrutto in un sol colpo la reputazione di una donna, la fiducia di un’altra donna e la felicità di un uomo, quell’uomo che aveva pensato di amare tanto…
Sulla carrozza che da San Paolo deve portarla a Campo Real, Beatrice rimane tutto il tempo a occhi chiusi Il viaggio in treno dalla capitale è stato un incubo. Tutto quello stare li, ferma, bloccata, zitta, mentre avrebbe tanto bisogno di muoversi, di scappare, di urlare l’ha stremata. Seduta di fronte a lei Mercedes la seguiva continuamente con gli occhi, spaventata dal suo pallore, dal suo silenzio. Senza parlare, le offriva tutto l’appoggio che poteva, anticipando i suoi bisogni e cercando di trasmetterle un po’ del suo calore. Beatrice percepiva questi doni, e ogni tanto le rivolgeva un pallido sorriso riconoscente.
Adesso non ha più nemmeno lei, la ragazza, che ha lasciato a San Paolo. La mia famiglia la devo affrontare contando solo su me stessa, senza l’aiuto di nessuno Beatrice procede da sola, rannicchiata dentro la carrozza, imprigionata nei suoi cupi pensieri Ora che sta per arrivare il cuore si stringe fino a farle male. Finalmente apre gli occhi e le scorre davanti quel paesaggio tanto conosciuto, tanto amato, i luoghi che l’hanno vista bambina, poi ragazza, e poi giovane sposa Campo Real è sempre stata il centro del suo mondo,
E’ stato il luogo della sicurezza e della felicità, poi della disillusione, del dolore, e come in un circolo che ruota senza fine, di nuovo il luogo della felicità, il luogo dove tra lei e Juan è nato un sentimento che li aveva straordinariamente avvinti, che lei pensava sarebbe durato per sempre Tornare a Campo Real significa fare i conti con i fatti fondamentali della sua vita. E con le persone fondamentali Sta per trovare i suoi parenti. Questo incontro la terrorizza. Non ce la fa. Ma dove altro potrebbe andare E’ crollato tutto. Tante volte Beatrice aveva pensato a quel ritorno a Campo Real, lei e Juan, felici. Magari col nostro bambino... Realizzati e sicuri di sé avrebbero dimostrato a tutti quanto era valsa la pena di darsi reciproca fiducia, di sfidare il mondo intero per stare insieme, certi del loro amore E adesso deve affrontarli tutti, tutti loro che l’avevano sconsigliata, pregata, minacciata perché non sposasse Juan. Il gelo di Sofia, le lacrime di sua madre, la violenza di Andrea, la furia di Anna. E lei l’aveva voluto per forza All’inizio era stata mossa solo dal desiderio di favorire un po’ di normalità, di serenità al matrimonio di sua sorella ed Andrea, ma poi….. la sua vita ordinata era stata travolta come da un fiume in pena, l’amore, la sofferenza, la passione l’avevano trasformata. E Juan……. Quanto aveva dimostrato di capirla, di amarla fin dal principio “Si y la olbiese tedino a uste solo involvendo cingo, sordo o imbecille la habitat decado por orta y muchi meno por la sorra de su germana” Il pianto così a lungo trattenuto prorompe. Il suo ritorno, il suo fallimento. Avevano ragione loro Sente con forza questa umiliazione, Beatrice, ma non soffre per orgoglio. Quello che le spezza il cuore è la consapevolezza di aver perso Juan, e il senso di abbandono che la sua fuga con un’altra donna apre come una voragine davanti ai suoi occhi, al suo futuro. La perdita. Juan non sarà mai più suo.
Quanto mi hai ingannato. Che cosa amavi in me? Che cosa ti ha stancato? Il mio rigore, la correttezza, il senso del dovere che ammiravi tanto ti sono poi venuti a noia, sempre precisa, sempre perfettina? Ti ha allontanato proprio quello che avevi amato tanto? Ma non è meglio una donna che ti stuzzica e ti provoca, ti incuriosisce e ti fa sentire vivo? Non si era innamorato perdutamente di Anna? Come hai potuto amare lei, poi me? Come ho potuto crederti? "Se voi foste stata promessa a me,solamente se fossi diventato cieco, sordo o completamente folle, vi avrei lasciata per un'altra e meno che mai per una donna come vostra sorella!" Perché mi dicevi queste cose? Tu le vuoi, le donne come mia sorella Sei come tutti gli altri, Juan, quello che cerchi in una donna non è quello che ti può dare per una vita intera, ma è come ti fa sentire in un attimo che poi se ne va. A che serve comportarsi bene, essere fedele, comprensiva, affidabile quando è sempre l’ultima arrivata, sventata, capricciosa, provocante a prendersi l’amore di un uomo. Si innamorano follemente di donne così, che non se lo meritano affatto, e meno se lo meritano, più si innamorano Ma io sono come sono. Non voglio cambiare. Coraggio, Beatrice, andiamo avanti e affrontiamo tutto quello che c’è da affrontare, le lacrime, le occhiate ironiche, gli interrogatori, il biasimo verso Juan che sarà certamente meritato, ma mi ferirà terribilmente. Devo sopportare tutto. Ho solo bisogno di un posto dove stare. Poi rimetterò insieme i miei cocci e mi studierò di andare avanti.
Appena sbarcato Juan si precipita a casa sua. Non vede l’ora di abbracciare Beatrice. Ha ormai perdonato il suo capriccio ( lei, di solito così equilibrata), vuole solo averla accanto a sé, felice, tenera, baciare quegli occhi che si spalancheranno di stupore e di piacere di fronte ai meravigliosi regali che le ha portato. Juan è costretto ad aprire con la sua chiave. Nessuno al portone, nessuno nelle varie stanze in cui si affaccia, una dopo l’altra Entra nella loro camera da letto. Uno sportello dell’armadio è rimasto semichiuso, e lascia intravedere al suo interno degli spazi vuoti. Anche dai cassetti mancano chiaramente dei capi di biancheria, come mancano dalla toilette le spazzole e tutte le misteriose bottigliette di cristallo che hanno sempre tanto incuriosito Juan per i loro profumi così delicati. Quello che è completamente pieno, intatto, è lo scrigno dei gioielli, tutti i gioielli che lui gli regalato sono lì: Beatrice non ne ha portato via nemmeno uno. Juan si spaventa. Vi legge un’offesa e un rifiuto. Uno schiaffo. Nessun biglietto, nessuna spiegazione. Niente. Deve riuscire a sapere dove è andata, dove sono tutti, ma deve muoversi con tatto e discrezione. Non ha alcuna voglia di creare scompiglio, di suscitare curiosità, magari per niente. Il portone sbattuto da una mano impaziente e nervosa e Juan è già sulla strada Gira per la città, per i quartieri più esclusivi, dove abita la maggior parte dei loro conoscenti, nella speranza di venire a sapere qualcosa casualmente, ma non incontra nessuno. All’improvviso,Celia. Maledizione. Ci manca solo questa. Juan fa già per attraversare la strada, per defilarsi al più presto, ma la ragazza è più svelta di lui. Con una spinta si libera della cameriera che l’accompagna, si ferma di fronte a Juan. “Capitano, che sorpresa! Credevamo tutti che non vi avremmo più rivisto, dopo tutto quello che è successo Non andate anche voi a fare gli auguri alla nuova coppia felice? Certo che è stato un bellissimo colpo di scena: il signor Andrea che ottiene l’annullamento del matrimonio e la signora Beatrice che corre subito da lui, per far annullare il suo e poter sposare finalmente il bel cugino. Del resto, si amano da anni, erano destinati a stare insieme, sono fatti l’ uno per l’altra. Lo sanno tutti ” Una risata cattiva, un accenno di saluto con la testa ricciuta e la piccola Celia riprende il cammino. Non le importa delle conseguenze, non le importa che ben presto le sue parole verranno smascherate e lei passerà per quello che è, una sciocca e perfida bugiarda. Intanto Juan vivrà ore di incubo, tra dubbio, sospetto, furore, gelosia. Pagherà. Come ha pagato Beatrice. E Gloria. Le piccole mani che tremano, Clelia si sente svenire, ma va avanti. La certezza di avere causato dolore le dà forza.
Juan è incredulo. Come può essere successo quello che diceva quella piccola serpe? Andrea è negli Stati Uniti, da molto tempo. Sarà lì che ha ottenuto….. Torna a casa. Sul vassoio d’argento posto sul tavolo d’ingresso nota una lettera. E’ indirizzata a Beatrice e la grafia è quella di Caterina. Juan ovviamente non ha il minimo scrupolo. La apre stracciando frettolosamente la busta. “Carissima Beatrice, non sai quale incredibile novità. Andrea ha ottenuto l’annullamento del matrimonio e ora sta tornando a Campo Real...”
Beatrice, varca il portone d’ingresso, confusa e avvilita. Dovrà raccontare, spiegare. Il disagio è grande, ma quando, sentite delle voci provenienti dallo studio, entra trepidante nella grande stanza, si rende conto stupita che le danno appena retta, come se tutti si fossero aspettati di vederla capitare lì da un momento all’altro “Beatrice, che sorpresa. Sei già qui, tesoro? Come hai fatto ad arrivare così presto? Andrea, non è meraviglioso che la nostra Beatrice sia la prima a felicitarsi con te e a conoscere la tua fidanzata? Harriet, cara, questa è Beatrice, la cuginetta di Andrea. Bea, Harriett e Andrea sono fidanzati, si sposeranno tra qualche mese, non è meraviglioso?”
Beatrice è rimasta veramente senza fiato. E così Andrea l’aveva ottenuto, l’annullamento, si risposava. Sembravano tutti felici. Andrea che l’abbracciava e le dava due sonori bacioni sulle guance, Sofia che si covava con gli occhi scintillanti l’amato figliolo e si teneva stretta la giovane donna, una preda di prim’ordine. Persino sua madre, la povera Caterina sempre così suggestionabile, subiva l’entusiasmo generale e se ne stava lì, sorridente, abbracciava sua figlia, le chiedeva se non era meraviglioso che Andrea e Harriet……. E Anna? Nessuno pensa ad Anna, lassù, nella sua stanza, che muove le mani, canta sottovoce e ogni tanto, come presa da ricordi laceranti, piange disperata? Ma certo. Anna è un capitolo chiuso. Solo lei ha avuto delle colpe. Andrea, Sofia, Caterina, sono tutti innocenti. E così giustizia è fatta. La traditrice è stata punita e dimenticata. Ma la curiosità prende il sopravvento. Pur sorridendo con gentilezza, Beatrice osserva attentamente la sua futura cugina che si è fatta avanti, la mano tesa e un sorriso franco. E’ abbastanza alta, né bella né brutta, e sembra simpatica. E ha un vestito… La fa sentire subito ammuffita. Non è niente di particolare, ma la linea…. Asciutta, sottile, il colore sobrio, ma grintoso, la giacchina accostata e la gonna più corta che Beatrice abbia mai visto. Si sente subito troppo colorata e agghindata E’ così che ci si veste adesso su al Nord. Ebbene…….. mi piace tanto Tutti parlano, tutti si congratulano e all’improvviso, la domanda fatale. “E Juan? Come mai non siete venuti insieme? Ti raggiungerà presto?” Beatrice lo deve dire. Prima o poi lo deve pur dire. “Io e Juan…. Noi ci siamo lasciati, non riuscivamo proprio ad andare d’accordo...” Si impappina, si confonde, e poi, tutti le parlano e lei non crede alle proprie orecchie “Via, Beatrice, sono cose che capitano, liti tra innamorati. Vedrai che in un batter d’occhio Juan sarà qui e tutto si aggiusterà con un bacio” Da tutti, indulgenza, buonsenso, qualche sorrisino complice. Insomma, proprio nessuno si occupa di lei Poi lo fa Harriet. Le si avvicina. E’ discreta. Non chiede nulla. Parla piuttosto di sé, è la prima volta che viene in Messico, ed è veramente frastornata. Tutti quei colori. Tutto quel calore. Tutti quegli alberi. “ Io sono sempre vissuta a Detroit. Non puoi immaginare che differenza. Da noi freddo, fabbriche, smog e stress. Ce la sogneremmo, questa pace. ” Pace. Beatrice sorride appena. Se sapessi quanti conflitti, passioni, rabbie nei nostri cuori in questa atmosfera sonnolenta, tra questo verde fitto, sotto questo sole accecante. No, la pace...no. Non è proprio questione di latitudine.
Per tutto il viaggio sulla Santa Monica verso San Paolo, Juan non ha fatto che imprecare e attaccare briga. La verità è che la paura, il sospetto, la gelosia gli tolgono il respiro. L’immagine di Beatrice e Andrea insieme gli dà alla testa. In fondo l’ha sempre amato. In fondo è lui che voleva. Le parole di Celia gli rimbalzano nel cervello “…. potrà sposare finalmente il bel cugino. Del resto, si amano da anni, erano destinati a stare insieme” Destinati a stare insieme . Destinati a stare insieme Ormai i suoi uomini girano al largo e aspettano solo il momento che gli sia passata Stesso linguaggio e stesso atteggiamento a San Paolo, nello studio dell’avvocato Manera. “Sì, Juan. Ho saputo che il matrimonio di Andrea è stato dichiarato nullo per consenso simulato. E’ risultato che Anna l’ha sposato con un inganno, ha pronunciato l’impegno della fedeltà coniugale pur volendo continuare la sua relazione con un altro uomo. Con te, se la vogliamo dire proprio tutta. Era proprio determinata. Ed è stata indiscreta, ha parlato in giro, l’ha detto anche a te, no?. La sua cameriera ha sentito, ha testimoniato. Povera figliola. E’ sempre stata una sciocchina, ma che fine terribile L’ho saputo l’altro giorno a Campo Real. Aspettavano il ritorno di Andrea da un momento all’altro. Ormai sarà a casa. In effetti, adesso che mi ci fai pensare, avevano tutti un’aria misteriosa. Sorridevano. Mi dicevano di prepararmi a grandi cambiamenti. Juan non fare quella faccia. Perché salti sempre a quel modo a delle conclusioni assurde . Chi l’ha detto che Beatrice…..Juan dove vai . Questo fa un’altra pazzia. Juan torna qui” Ma Juan è già montato a cavallo, e come un matto si precipita verso Campo Real. Si è trovato già una volta in quella situazione, a cavalcare su quella stessa strada pieno di furia per il tradimento subito, ma quella volta andava a reclamare Anna. Stavolta quella che corre a riprendersi è Beatrice, il suo amore. Stessa ansia, stesso furore. E se avessero già deciso tutto? Se anche stavolta fosse già troppo tardi. No. Il mio ritorno a Campo Real oggi sarà diverso. Andrea non ti mettere in mezzo. Ti ho perdonato, ti voglio bene, ma Beatrice è mia. E’ sempre stata mia. E’ sempre nella mia mente e nella mia anima. E se non provasse i miei stessi sentimenti sarei tanto egoista che la obbligherei e se fosse ,di un altro la rapirei.
Quando arriva a casa di suo padre, Juan non passa affatto dalla stalla. Si dirige verso l’abitazione ancora sulla groppa del suo cavallo, che ormai, stremato, è coperto di schiuma. Juan gli circonda col braccio il grosso collo tremante.
Scende, comincia ad asciugarlo con la coperta. Non può vedere nessuno soffrire, nemmeno un animale E quando alza gli occhi, vede Andrea e si fa avanti Quanto è diversa la situazione reale da quella che aveva immaginato. Come il suo ritorno a Campo Real è differente da quello che si era aspettato Andrea non è solo, abbracciato a Beatrice, pronto a sfidarlo E’ circondato dai familiari. Felice, gli sorride, gli va incontro tenendo per mano la fanciulla sconosciuta che ha a fianco. “Juan! Che gioia. Harriet, è arrivato mio fratello Juan. Lei – si porta la mano alle labbra e la bacia con trasporto – lei è la mia fidanzata. La ragazza più cara del mondo” Dietro di loro Beatrice, pallidissima, lo guarda come se fosse un fantasma
“Juan, ho saputo da Beatrice che avete fatto baruffa. Via, risolvete al più presto la situazione. Voglio che tutti siano felici come me. Va’ da lei. Lo so che saprai convincerla ” Nello studio di Andrea, in effetti, Juan sta friggendo di impazienza. Ha dovuto seguire lì suo fratello, ascoltare tutte le novità, le peripezie attorno all’annullamento, i particolari della sua conoscenza con Harriet – ero andato a trovare suo padre, avevamo intenzione di combinare un affare, una società per impiantare una fabbrica su al Nord, quando nello studio è entrata la mia streghetta. Per tutti e due è stato amore a prima vista e non ci siamo lasciati più…..” E giù, tutto il repertorio degli innamorati che, si sa, non hanno dubbi: è il loro amore, ovviamente, la cosa più importante del mondo Finalmente Juan riesce ad allontanarsi e corre alla ricerca di Beatrice. La va a cercare nella camera che occupava da ragazza, durante le sue visite agli zii. Entra senza farsi sentire e la sorprende girata di spalle, verso la finestra, contro il verde fitto del giardino. Juan la guarda e gli sembra stranamente piccola e fragile, per come si stringe nelle spalle, quasi per evitare un colpo. La rabbia e il turbamento cominciano a calare, la fronte è ancora corrugata, ma già si vede uno sciogliersi della tensione nei solchi ai lati della sua bocca, un qualcosa che non è proprio ancora un sorriso, è piuttosto un ammorbidirsi delle labbra, e un addolcirsi degli occhi ancora severi. Juan non pensa più alla propria collera, pensa alla sua Beatrice, la vede sconvolta e vuole consolarla La gira dolcemente verso di sé e le prende il viso tra le mani “Amore, che c’è?. Perché sei scappata a quel modo? Maledizione, Beatrice. Mi hai fatto morire di paura. Mi hanno detto che volevi lasciarmi. Che volevi sposare Andrea….” “E a me hanno detto che eri fuggito con Gloria!”
E’ un urlo. Adesso viene tutto fuori. Anni di autocontrollo, di buona educazione, di stile se ne vanno in fumo, e d’incanto viene fuori la piccola furia che, di fronte a un’ingiustizia, sostituiva Beatrice bambina, la Beatrice ordinata, sempre accomodante e sorridente. Una belvetta che strepita, e batte i piedi e pretende che subito – subito! - le cose vengano messe a posto, tra lo sgomento della madre e il divertimento del padre……..
“Una lettera anonima. Tu non c’eri. Gloria era sparita. “ “Ma come hai potuto pensare…..” Beatrice crolla “Certo che l’ho potuto pensare. Lei sempre attorno a te, con le sue risate, con i suoi sguardi provocanti. E io lo so che sono quelle le donne che piacciono a te. Purché siano civette e insinuanti e sfacciate…. tu subito perdi la testa.” E più tira fuori tutto, più si sovreccita, più, povera Beatrice, fa confusione. “Io sono sempre qui, quella scontata, quella seria, quella noiosa. Io che ti amo da morire, e ti rispetto. Ma a te piacciono quelle che ti provocano, ti prendono in giro. Basta. Basta con Anna, con Angelica, con Marianna. Loro ti hanno ingannato, ti hanno mentito, si sono servite di te e tu sempre pronto a difenderle, a proteggerle. A trattarle con riguardo. Guai a chi te le tocca. Io non ho mai ricevuto tutte quelle attenzioni. Mi hai trattato duramente, mi hai respinto. Mi hai abbandonato e te ne sei andato lontano. Da me . Che ti ho sempre amato. Tu ami solo quelle che non se lo meritano….”
“Insomma, Beatrice, ma di che cosa parli? Io amo te. Ho scelto te. E poi che discorsi sono? Che cosa non meritano? L’amore? Ma nessuno merita l’amore, nessun tipo di amore. Una madre ama suo figlio perché se lo merita, tu mi ami perché me lo merito? L’amore non è un premio, è un’altra cosa. Qualcosa che permette a tutti noi di essere consolati e riconciliati, che ci dà una tregua, che crea legami di vita. L’amore è gratuito, si dà e si riceve senza tenere la contabilità. Tu meriti l’amore, tu no. E chi giudica chi merita? Chi è tanto al di sopra da giudicare, condannare e punire ?”
La ragazza è folgorata . Gli rivolge uno sguardo spaurito. Juan subito si intenerisce e se la tira sulle ginocchia “Piccola, ma sei proprio determinata a vivere con la bilancia in mano, a giudicare gli altri, tu meriti, tu non meriti, a condannarli senza appello? Insomma amore, non vorrai mica andartene con le pietre in tasca, pronta a lapidare chi ha sbagliato…….” Beatrice è ammutolita, e lo guarda come se non lo conoscesse. Quelle parole vengono da Juan, proprio da Juan che è vissuto nella strada,, che non era mai stato battezzato e iscritto all’anagrafe, un bimbo senza nome a cui nessuno ha mai insegnato niente e che solo da Manera ha avuto affetto, e una guida….. E Juan ha dentro di sé parole che lei, educata e seguita, ha ascoltato tante volte, ma in fin dei conti non è stata capace di fare sue. Oh, Juan ha capito. Lui ha capito. Le lacrime che scendono lungo quel volto tanto amato commuovono Juan fin dal profondo. La culla, la coccola, le sussurra il suo amore "Meritare, non meritare….è difficile dire perché uno si innamora. Io ti amo, Beatrice perché ne ho bisogno. Per me non ci sono altre donne. Nella vita di tutte le persone prima o poi arriva qualcuno, e tu senti che è quello che hai sempre cercato. Probabilmente altre donne hanno le tue stesse qualità,ma per me tu sei speciale...Il tuo modo di fare,di dire le cose, quando ridi o quando mi chiami, tutto mi attrae. E soprattutto mi piace quello che mi fai sentire: che per te niente e nessuno sono più importanti di me………” La tiene stretta a sé fino a quando non sente che lei è ormai consolata. Solo allora la prende in braccio e la depone sul letto. La sua Beatrice. La guarda, le bacia gli occhi ancora umidi di pianto “ Non ti tendi conto che ho bisogno di te come dell’aria? Nemmeno per un istante ho mai smesso di pensare a te. Anche quando faccio altre cose, sei sempre qui, accanto a me...” Sfinita, eccitata, infinitamente sollevata dopo tante paure e traversie, Beatrice si avvinghia a lui. Finalmente. Finalmente…
Dalle finestre socchiuse della stanza entra il riverbero verde e la frescura degli alberi del giardino di Campo Real, quel vasto giardino dove i fiori per il gran caldo stentano a crescere, ma gli alberi sono così folti e ricchi da creare uno scenario vivo e sempre in movimento, che sembra circondare e proteggere la grande casa Seduto alla sua scrivania, Andrea appare molto assorto, lo sguardo fisso, il mento appoggiato sulle mani intrecciate, ma, in realtà, sta semplicemente fantasticando. Dopo tante sofferenze, e abbagli, dopo tanti errori – e quanto li ha pagati cari... - si apre davanti a lui una vita nuova, una vita finalmente pulita, e serena, e piena di amore. Alza gli occhi e vede venire avanti Beatrice. Alzandosi dalla sua poltrona l’osserva con affetto. Ha l’aria un po’ stanca. Deve ancora risentire delle fatiche del viaggio. La notte, chiaramente, non le ha portato il riposo auspicato “Entra, Beatrice, cara, accomodati” e le avvicina una sedia pesante e austero, come pesante è tutto l’arredamento della vecchia casa. La ragazza rimane in piedi. Lo guarda “E Anna, Andrea? Che ne sarà di Anna?” lo affronta senza giri di parole. “Finora è vissuta qui, isolata, ma al sicuro. Ma adesso? Non puoi certo lasciarla nelle sue stanze e imporla a tua moglie, ma una sistemazione va trovata ” “Certo. No, ci ho pensato, naturalmente. Anna deve andarsene. Non può restare qui, è fuori discussione. Non so. Troverò una soluzione. Francamente non ho proprio idea di dove mandarla. E’ un problema. Finora ho avuto talmente da fare…..” Andrea è in imbarazzo. Non sa che dire. La situazione non è facile. Forse potrebbe...
Ma è entrata Harriet. Rossa per l’indignazione. Ha sentito tutto, e non riesce a credere alle proprie orecchie. “Ma come, Andrea, la tua prima moglie è qui, in questa casa? Non hai ancora risolto questa questione? Non è mica un particolare secondario, sai? Naturalmente conoscevo la situazione, l’avevo accettata. Niente da dire. Ma non questo. Mai avrei immaginato una cosa del genere. Tua moglie qui, rinchiusa, confinata in una stanza. Ma insomma, Andrea, dove sono finita? Non siamo nel Medio Evo. Le persone malate si curano. E chi se l'aspettava di capitare nel vivo di un romanzo gotico. Lui, lei, la moglie malata di mente al piano di sopra. Ma scherziamo. Tutto questo è inaccettabile. Assolutamente inaccettabile.” Si volta e in lacrime scappa via dalla stanza E così ora tocca ad Harriet essere arrabbiata, confusa, disperata. Mio Dio, sembra non possa esserci mai pace, per queste ragazze…….
Che momento difficile. Beatrice è disorientata, ma segue il suo istinto, e non sbaglia. Lei deve pensare a sua sorella. E’ generoso, l’istinto di Beatrice, e benevolo, e gentile Prima di tutto deve andare da Anna, accertarsi di persona delle sue condizioni. Come starà, che avrà fatto in tutti questi mesi? Vuole raggiungere al più presto sua sorella, ma è inquieta, preoccupata, non sa come l’accoglierà. E se la turbasse? Se poi stesse peggio?
Apre la porta, piano. La donna è seduta presso la finestra, assorta. Che sia questo il suo modo di partecipare alla vita degli altri, guardare giù, veder passare ora questo, ora quello, immaginare……chissà, immaginare…… Ormai è tanto che è lì Il trauma provocato dalla caduta da cavallo, la fine così drammatica della sua gravidanza, il ripudio da parte del marito…… Aveva perso Juan e aveva perso Andrea . Non aveva più nulla. La sua mente aveva rifiutato di accettare la realtà. Anna è rinchiusa in un torpore in cui non ricorda nulla, non vede più nulla. Non c’è passato e non c’è futuro. E il suo presente sta tutto in quel suo dondolarsi sulla sua poltrona. Beatrice, lenta, con cautela avanza verso di lei,. Anna sembra non riconoscerla, ma almeno non grida e non la respinge con furore, come faceva le prime volte. “Come stai, Anna…...Sono venuta a trovarti” Lei si volta e tace, ma ha appena alzato il volto e volge lo sguardo verso il lato opposto della stanza. Anche Beatrice si gira, lentamente, per seguire la direzione degli occhi della sorella. E così , inquadrata nel vano della porta, vede Harriet immobile che le sta osservando, attenta, assorta, con le palpebre socchiuse
E’ salita silenziosamente dietro Beatrice, sulle sue scarpette leggere. Ed ora che finalmente è lì, si trova di fronte una donna sconosciuta che la riempie di paura e di tristezza Anna, nonostante la magrezza che fa diventare enormi i suoi occhi, nonostante il pallore intenso che scava ombre sul suo viso, conserva una sorta di incancellabile bellezza . Incanta soprattutto il fascino dei suoi occhi chiari che sembrano guardare lontano e ancora esprimono fame di vita e disperazione Harriet prova una fitta di gelosia così acuta che le manca il respiro. Questa è la donna che Andrea ha tanto amato, che ha sposato e per la quale è quasi impazzito di dolore. Questa ragazza bellissima, come io non sarò mai. Ma è un attimo. Il dolore profondo che ha sentito è già passato. Di fronte a lei ora c'è soltanto una povera donna sola e malata che ha bisogno di aiuto Anna la guarda fisso in faccia “Chi sei? Hai pianto? Non devi piangere sai, altrimenti ti si gonfiano gli occhi e diventi brutta. E allora, se sei brutta, nessuno ti ama” Ma già ha perso interesse. Ricomincia a giocare con le mani, a girare e rigirare intorno al dito un anello inesistente” “Ci penseremo noi, Beatrice” Andrea stavolta ci ha visto giusto e ha scelto una donna saggia e di buon cuore “ La porteremo nella mia città. Ci sono cliniche buonissime che riusciranno a guarirla, o almeno a farla star bene. La seguiremo tu e io. E solo quando starà meglio, quando le avremo assicurato una vita comoda e serena sposerò Andrea. Finché questa donna è così spersa e infelice io…. io non me la sento” Beatrice si commuove. La abbraccia. Sono due donne, e sono dalla stessa parte.
Che dire di questa storia? Juan e Beatrice sono ritornati a Campo Real, tutti e due guidati dalle rabbia, dalla paura, dallo sconforto, si sono fronteggiati, si sono capiti, e arresi al loro amore ed ora che si sono ritrovati sono di nuovo uniti e felici. Ora passeggiano per il giardino sotto uno scintillio verde che illumina il cielo e i loro occhi. Ed ecco che si fermano, lui sempre più emozionato la guarda, la fa sedere accanto a sé e sussurrandole tutto il suo amore la rovescia piano sull’erba e la bacia come se non volesse lasciarla mai più. Lei che si abbandona, gli occhi socchiusi, il respiro affrettato
E il cammino del loro amore riprende da dove era stato interrotto. Chi lo sa dove li porterà ancora. La loro storia sembra destinata a non finire mai…...
FINE
IL BACIO IN GIARDINO 18) La farfalla Muovendosi con cautela per il lungo corridoio, guardava dietro di sé per accertarsi di non essere seguita. Ecco. Era finalmente arrivata. Aveva aperto la porta ed era scivolata zitta zitta nella grande stanza silenziosa. Con un gesto rapido aveva richiuso l’uscio dietro di sé. Ce l’aveva fatta. Adesso era completamente sola. Si era appoggiata alla parete e aveva respirato profondamente. In fondo si trovava in una situazione insolita, poteva anche essere confortante, anzi, elettrizzante. Era come trovarsi su un’isola deserta. E già l’ombra di un sorriso modificava l’espressione della sua bocca dolorosa: era arrivata. Era nella biblioteca dello zio Francisco Beatrice si era avviata con sicurezza verso il centro della grande libreria. Sapeva perfettamente dove era collocato il libro che cercava, lo zio glielo aveva letto tante volte. Tutti i volumi era disposti con un ordine meticoloso, divisi per argomenti. La ragazza si fermò di fronte al settore storia, controllò un attimo, quindi sfilò il libro pesante che tante volte aveva visto tra le mani dello zio e lo strinse tra le braccia. Che sollievo stare finalmente un po’ in pace in quella penombra profumata di citronella e di alloro e rosmarino, e di tutte le essenze che da sempre venivano rinchiuse nei minuti sacchetti ricamati a punto croce. Nascosti tra un volume e l’altro sulle ampie scaffalature, le piccole bustine odorose profumavano l’aria e tenevano lontani i parassiti dai preziosi libri che dormivano lì ormai da tanti anni. Si era guardata lungamente intorno, lasciandosi portare via dai suoi ricordi Lo zio Francisco. Se n’era andato quando lei era ancora molto piccola, ma lo ricordava bene, e con tanto amore. Anche allora sgusciava dentro quella vasta stanza silenziosa, si nascondeva dietro qualche mobile e rimaneva a guardare lo zio grande e bello che trovava alla scrivania, intento a leggere i suoi libri misteriosi. Leggeva assorto, ma rilassato, le lunghe gambe distese davanti a sé, le caviglie accavallate, il gomito appoggiato al bracciolo dell’ampia poltrona, quella poltrona tanto diversa da tutte le altre presenti nella vasta dimora di Campo Real: di cuoio, severa, senza fronzoli, era proprio una poltrona adatta ad un uomo, e un uomo grande e importante. Tutto in quella stanza era maschile e rigoroso e sapeva di pensieri, progetti, sogni, desideri di uomo. Per la piccola Beatrice che aveva perso suo padre quando aveva solo pochi, anni, stare vicino a un figura maschile, in quell’esercito di donne, significava entrare in un mondo parallelo in cui abitudini, gusti, svaghi, gioie e rammarichi e silenzi differivano completamente da quelli femminili. Come comporli? Beatrice continuava a non saperlo. Lo zio Francisco…..Tutti parlavano di Francisco Aleardi della Valle come di un uomo coraggioso e volitivo, che non aveva paura di nulla Ora, per lei, ricordandolo attraverso i ricordi degli altri, poteva essere difficile mettere insieme tutte quelle immagini che convivevano nella sua memoria. Don Francisco sul cavallo rampante, veloce come il vento, uno scavezzacollo sempre pronto a saltare gli ostacoli più impervi. Il marito della zia Sofia, spesso impaziente, che alzava la voce con la moglie e che era rispettato da tutti. Il padrone di Campo Real, che curava con fermezza e buonsenso le sue proprietà , sempre giusto e sempre attento al benessere di chi lavorava per lui. E infine lo zio immerso nella lettura, nel silenzio e nella solitudine della sua biblioteca, che alzava la testa quando la sentiva entrare e subito si alzava, guardava sotto i tavoli e i mobili dicendo “Chi è entrato? Una topolina? Dove si sarà nascosta? Eccola!” Beatrice scivolò nei suoi ricordi. Entrava piano piano, cercando di non farsi sentire, ma lo zio la vedeva subito, la tirava fuori dal suo nascondiglio, la prendeva tra le braccia e la faceva saltare in alto, in alto. E lei, spaventata e felice rideva e gridava. A casa nessun altro la faceva volare e nessuno le parlava come si parla a una persona grande. Ed effettivamente, ma la piccola Beatrice non poteva capirlo, solo lo zio doveva aver compreso quella bimba silenziosa, ma che si apriva spontaneamente al calore e alla tenerezza, e tirava fuori con chi glielo consentiva quell’allegria e quella gentile arguzia che l’atmosfera di Campo Real, resa pesante e cupa dai rancori implacabili e dal riserbo altezzoso di Sofia, soffocavano inesorabilmente. Soffocavano anche lui, e si teneva più che poteva lontano da casa sua, e quando vi doveva restare si guardava bene dal lasciarsi coinvolgere dal dispotismo della moglie e si chiudeva nella sua biblioteca. Eppoi, Francisco lo vedeva, era una bimba curiosa di tutto, bisognosa di senso, e lui le raccontava tante storie, le parlava di paesi lontani, mostrandoglieli sul grande atlante, le leggeva dei passi dei suoi libri, le narrava miti greci e leggende messicane, la faceva parlare guardandola con affetto con quei suoi occhi grandi, verdi, penetranti. Beatrice sapeva che quelli erano gli occhi di un gatto, che forse lo zio era un gatto, un gatto coraggioso e aggressivo, ma che sapeva essere così gentile e affettuoso con le persone a cui voleva bene. Ora quegli occhi li aveva visti di nuovo. Ebbe quel pensiero all’improvviso, e ne fu folgorata, ma fu un attimo, fu un pensiero fuggevole, inafferrabile, che se ne andò così come era venuto. Uscì dalla stanza lentamente. Non ce la faceva a tornare nel mondo reale. Non ancora. Con un sospiro si appoggiò alla pesante porta di noce, lo sguardo rivolto davanti a sé, verso il lungo corridoio. Forse nessuno l’aveva capita bene come lo zio. Poi anche quello era finito. E adesso…… Quel corridoio troppo scuro e silenzioso era lo specchio di tutta la grande casa. Qui nessuno ride, nessuno canta. La mamma che si fa piccola piccola per non dar fastidio, Andrea soddisfatto di sé che non si accorge di quello che gli succede sotto gli occhi, Anna come un gatto che si lecca i baffi e si illumina quando guarda Juan, cova, ma non dice nulla, la zia Sofia che osserva tutto e tutto chiude nel suo cuore ostinato.
In questa casa è sempre stato così, solo lo zio Francisco aveva capito che cosa mi mancava, eppure …….è così facile sapere di che cosa gli altri hanno bisogno, che cosa desiderano veramente. Sul serio. E’ così semplice……. . Questa farfalla che è riuscita a trovare uno spiraglio tra queste pesanti tende che tappano le finestre e chiudono fuori il grande caldo del pomeriggio, è entrata con coraggio, leggera, e adesso volteggia per il corridoio e volando ha cambiato tutto, e lo sa. E invece gli esseri umani impacciati, goffi, non sanno volare perché le paure e l’avidità, l’egoismo li rendono troppo pesanti e li inchiodano a terra. Non riescono a capire quelli che hanno vicino, che cosa desiderano. Sono troppo ossessionati dai propri bisogni e rimangono ciechi…... Quante storie. La farfalla lo sa benissimo che cosa vorremmo e ce lo regala a piene mani: leggerezza, aria, luce colore, libertà. Ci regala se stessa senza calcolo, spontaneamente e a guardarla siamo felici. Voliamo come lei, leggeri come lei. Basta, Beatrice. Ricaccia indietro queste stupide lacrime. E la giovane donna percorre svelta il corridoio e sale in silenzio le scale che la portano verso la sua stanza, verso un altro silenzio, un silenzio vuoto.
Da quando si era sposata Anna viveva e si sentiva come sdoppiata. Gustava fino in fondo la propria buona fortuna. Si era sposata lei, non Beatrice. Lei era la signora di Campo Real, la signora giovane, bella e rispettata da tutti. Suoi erano ormai i bauli pieni di quella preziosa biancheria che sua madre e sua sorella avevano ricamato con tanta cura, pomeriggio, dopo pomeriggio, anno dopo anno, sedute vicine a parlare di quelle nozze, di quel fidanzato che c’era sempre stato, fin da quando Beatrice era una bambina, sempre presente nelle chiacchiere della mamma e della zia e sempre assente, lontano, nella realtà. Mai una lettera, mai un pensiero. Ma che stupide. Ricamavano, sorridevano, parlavano di Andrea con rispetto e devozione. Che starà facendo? A che cosa starà pensando? Come avevano fatto a non capire….. Andrea era una figura lontana, un’idea, un ricordo, ma Anna era vera e bella, vivace e seduttiva. E quando l’immagine di un uomo atteso intensamente e ricordato a stento si era materializzata ed era venuta a contatto con la realtà, quell’immagine era diventata un giovane disinvolto e intraprendente che si era incontrato con quell’Anna viva, elusiva e disponibile, mutevole e pronta per lui. E l’aveva subito desiderata a voluta per sé. Il fidanzamento era stato veloce e ora Anna era una donna sposata. E adesso che Juan era venuto a vivere a Campo Real tutto si sarebbe sistemato. Sì, ora lui era arrabbiato con lei, con Andrea, era geloso e la evitava. Eppure Anna sapeva che proprio quella gelosia, il desiderio di averla tutta per sé lo avrebbe ricondotto a lei. E lei l’avrebbe reso folle stimolando il suo senso del possesso, gli avrebbe detto come suo marito la voleva continuamente, lei cercava di respingerlo, ma lui le stava sempre addosso, la assillava, e lei era tanto infelice. Poi l’avrebbe rassicurato, gli avrebbe detto quanto lui fosse superiore ad Andrea, quanto le mancava, sarebbe apparsa sperduta, confusa, una vittima tra le mani avide di suo marito, e così innamorata di Juan….E lui l’avrebbe consolata prendendola tra le braccia e l’avrebbe trascinata ancora una volta in un mare di sensazioni. Si diresse con decisione verso la biblioteca, a cercare della carta da lettere. Aveva terminato la sua e non aveva alcuna voglia di rivolgersi alla suocera. Se mi prende mi attacca sicuramente una della sue asfissianti prediche sulle vere signore, sui doveri, su Andrea, i bisogni di Andrea, il benessere di Andrea... Per carità. Meglio tenersi alla larga. Nella biblioteca ci doveva pur essere il necessario per scrivere. Quella stanza le era quasi sconosciuta. Dopo la morte di Francisco era rimasta sempre chiusa, l’odio che la moglie provava per lui aveva fatto sì che con la sua morte morissero anche le sue cose, i suoi ricordi . Andrea, poi, al suo ritorno, si era scelta come studio una stanza più piccola, l’aveva fatta arredare con mobili moderni, e lì riceveva o semplicemente oziava. Anna non aveva mai osato entrare nella biblioteca quando era ancora vivo Francisco. Aveva paura di suo zio, era grande, scuro e non le parlava quasi mai. Con quella barba nera e quegli occhi scontenti sembrava il diavolo e aveva sempre l’aria di essere arrabbiato, specialmente con la zia. Era sempre spazientito, con la zia, e a volte li aveva sentiti litigare. Anna aveva capito fin da piccola che tra loro due esisteva una forte tensione. In un lampo le tornò in mente un momento preciso; lei giocava seduta in terra, dietro le tende del salotto, succhiando le caramelle che aveva preso dalla bomboniera di cristallo in un momento in cui nessuno la guardava. La zia Sofia parlava di Andrea e di Beatrice, di contesse e matrimoni. Sembrava molto contenta e soddisfatta di sé. Lo zio alzava la voce, diceva che sperava che divenuto grande Andrea avrebbe avuto il buon senso di non darle ascolto, che erano tutte sciocchezze, che si augurava che suo figlio si scegliesse la moglie da solo. “Spero che mio figlio scelga la moglie che vuole”, aveva detto con voce sprezzante. Poi era uscito dalla stanza e la zia Sofia era rimasta lì, a labbra strette, lo sguardo pieno di odio e di rancore. Allora, naturalmente, lei non si era resa conto di che cosa parlassero, ma adesso… E bravo lo zio Francisco che aveva capito tutto. Era rimasta immobile al suo posto, zitta. Pur essendo molto piccola capiva bene qual era il suo interesse, e che la zia Sofia, così impettita e controllata, non avrebbe gradito affatto che si scoprisse che cosa si celava sotto la perfezione in cui sembravano fuse la sua famiglia, la sua casa, la sua vita. No. La zia Sofia non voleva testimoni. E lei era rimasta nascosta succhiando caramelle e facendo tesoro della sua precoce esperienza sul matrimonio e sui rapporti di coppia Girando per la grande biblioteca ripensò con curiosità a suo zio. Chissà che tipo era. E che morte terribile aveva fatto. Il cavallo, la caduta. Si sentì gelare. Questa stanza enorme sempre silenziosa, sempre vuota mi mette i brividi. Sì, è come se fosse morta, come lo zio Francisco, come……… Anna oltrepassò la soglia e rinchiuse rapidamente la porta dietro di sé. Tornò alle sue occupazioni e alla vita e alla grande biblioteca non pensò più.
E anche a Juan in quei giorni capitò di entrare nella biblioteca di Don Francisco. Successe per caso, passò davanti alla porta chiusa mentre si stava dirigendo in giardino, ma trovandosi lì non poté resistere alla tentazione. Si guardò intorno. Nessuno arrivava. Entrò e rivide tutto come quella prima volta. Aveva quattordici anni, allora, e non era mai andato oltre la spiaggia, la taverna e la baracca dove era vissuto. Entrato nella biblioteca, Juan era stupefatto. Non era mai entrato in una stanza così bella, senza tanti fronzoli, semplice, ma che al tempo stesso rimandava a un’aria di vecchie tradizioni, di prosperità e di lusso raffinato ed elegante. Mentre avanzava nella grande stanza i vari elementi gli venivano incontro e sorprendevano la sua vista. Non aveva mai nemmeno immaginato che potessero esistere cose così belle, le tende chiare e leggere che ombreggiavano i vetri, mentre ricche sovrattende di velluto scuro ornavano le grandi finestre; un tavolinetto rotondo di forma capricciosa che reggeva un piccolo perfetto busto di marmo, e poi la grande scrivania alla quale sedeva quello che doveva essere suo padre: un tavolo ampio, austero e imponente, su cui si trovavano, sparsi, un semplice candelabro, delle carte sparpagliate un po’ alla rinfusa, dei libri accatastati casualmente, senza tanta precisione . Era stato l'avvocato Manera che l'aveva portato lì nel suo veloce calessino e per tutto il tempo il ragazzo gli aveva ripetuto che mai sarebbe andato ad abitare in quella casa. L'altro insisteva e lui non voleva ascoltare l’avvocato che gli elencava tutte le opportunità che avrebbe trovato crescendo in quella casa grande e bella dove avrebbe potuto studiare, avrebbe potuto imparare a svolgere un lavoro dignitoso, procurarsi un futuro migliore. Cupo, ostinato, legato suo malgrado da un vincolo di lealtà all’uomo che lo aveva cresciuto - ossessionato da quelle parole che non poteva dimenticare , che gli ordinavano di odiare suo padre, di ucciderlo - si era opposto con tutte le sue forze, ma poi, era entrato in quella stanza, aveva visto l'uomo dall'aspetto autorevole e nobile, l'aveva osservato lungamente, in silenzio e poi aveva guardato i suoi occhi: guardavano i suoi, ed erano pieni di un’attenzione ed un interesse che pian piano si mutavano in comprensione e dolcezza. Allora si era arreso ed era rimasto, ma era durato così poco: suo padre era morto e lui immediatamente era stato scacciato da quella casa. Ora era di nuovo lì. Era arrivato a cavallo, come un pazzo, un uomo forte, spinto da una collera troppo intensa per essere dominata, ma ora Juan non sapeva neppure lui perché era lì, perché era rimasto. Non certo per Anna. Perché era tornato? Perché aveva deciso di per riprendersi Anna? Per creare chiasso e disagio? Ed era restato per un pensiero che solleticava il suo cupo umorismo, di vivere come un sottoposto, amministratore della casa che sarebbe dovuta essere sua? Ma tutto questo ormai aveva perso ogni senso, Anna non gli interessava più. Come ho potuto innamorarmi di una donna come quella? E poi c’era quella ragazza… Perché ora i suoi pensieri erano pieni di un’altra fanciulla. Non si trattava di Anna, era un'altra giovane donna dagli grandi occhi sinceri, dalla bocca dolce e lo sguardo troppo spesso triste. Sì, questo lo teneva legato a Campo Real Si era insinuata silenziosamente nella sua mente e nelle sue emozioni, facendosi spazio, trattenendo su di lei la sua attenzione senza sforzo, senza calcoli e civetteria. Altro che Anna…. Eppure faceva fatica a mettere a fuoco l’immagine che aveva cominciato a formarsi nel suo subconscio: le era apparsa sotto tanti aspetti diversi, con volti così differenti che faceva fatica a metterli assieme. Era stata la piccola furia che gli aveva sbarrato la strada, gli aveva bloccato il cavallo mentre gli intimava di andarsene subito da Campo Real; la giovane suora pallida e tragica che aveva raggiunto vicino alla rupe e che cercava…. Che cosa cercava? Che cosa c'era in quel visino smarrito, disperato? L’aveva poi vista precisa e competente vicino al letto di Angelica malata. Naturalmente decidendo di occuparsi di “quella selvaggia”, e per di più nella camera di un uomo, aveva scandalizzato tutti, ma con la sua pazienza e la sua modestia era andata avanti senza esitare, l’aveva aiutato, aveva anteposto a tutto il suo desiderio di essere utile. Lui la guardava muoversi con grazia per la stanza, infaticabile, sopportando gli sgarbi e le cattiverie di Angelica, serena, pronta a sdrammatizzare e addolcire quella ragazza aspra e insolente. L’aveva vista tra i suoi pari, i suoi familiari, con quei begli occhi tanto spesso pieni di una tristezza che avrebbe voluto allontanare per sempre. Lei rimaneva per lo più silenziosa, un riserbo e un mistero che ne aumentavano la seduzione, ma un attimo dopo era di nuovo diversa, mentre rintuzzava con una risposta garbata e maliziosa qualche attacco della sua dolce sorellina o rispondeva con sorridente umorismo a qualche osservazione fuori luogo. Indulgente e autoironica. Rideva di sé senza mai ridere degli altri Scopriva che Beatrice non era la lamentosa, la perfettina, la lagna mortale dipinta da sua sorella, che anzi era capace di brio e leggerezza. Pesante, greve era invece proprio Anna, con la sua sensualità spessa e senza grazia, le sue passioni cupe e gelose. E lui che all’inizio Beatrice l’aveva giudicata pedante, ottusa….. Che stupido che sono stato. Be’, non avevo proprio capito niente. Uscì dalla biblioteca di suo padre scuotendo la testa, con un sorriso nuovo, e si diresse verso il giardino. Chissà, forse Beatrice era lì.
Si era ritirata nella sua camera per la siesta quotidiana, ma il sonno non voleva venire. Troppo caldo, troppo silenzio, troppe passioni represse fuori e dentro di lei. Restava lì, sdraiata, lo sguardo perduto nei suoi ricordi. Quanti ricordi cupi suscitava in lei la vecchia casa. E quei silenzi. Ormai ne stava diventando preda, la circondavano, ritornavano per rattristarla e farla precipitare all’indietro, verso altri ricordi e altri turbamenti. Eccola di nuovo nel grande salotto di donna Sofia dove verso sera le donne della casa, le signore e le inservienti, recitavano il rosario con le bambine accanto a sé e tutto sembrava tranquillo in quel rituale rassicurante, sempre uguale: nessuno avrebbe mai potuto percepire che cosa si nascondesse sotto tutta quella apparente normalità, che cosa si celasse dietro il volto composto della signora di casa. Quella sera la zia Sofia era stata chiamata fuori dalla stanza “Vostro marito è tornato, signora, e desidera palarvi.” E dopo qualche minuto Beatrice l’aveva seguita, non vista. Aveva tanta voglia di salutare il suo grande zio, che era stato per giorni lontano da casa……. Ma era rimasta incollata dietro la porta, spaventata Li aveva sentiti discutere, lei ritta e composta, lui spazientito e scontento, che ancora parlando aveva cominciato a salire le scale……. “Ci sono ragazzi appena poco più grandi già in grado di difendersi da soli, senza paura di niente. Non parlare. Se vuoi saperlo stai facendo di mio figlio un insicuro, un debole. Adesso basta. Io te lo proibisco. Andrea è perfettamente in grado di controllare quel cavallo e voglio che lo cavalchi tutte le volte che lo desidera. Ti ordino di non intrometterti”. Aveva continuato a salire le scale senza più voltarsi indietro mentre lei, Sofia, impassibile e gelida sibilava :”Voglio solo che abbia una buona educazione. Mio figlio sarà un vero gentiluomo, non un contadino travestito da signore come te. “ Beatrice era rimasta sconvolta da quello che aveva visto e udito e quella sera aveva intuito che la realtà non è sempre quella che ci viene mostrata, che bisogna guardare oltre un volto, un sorriso, una scena preparata come uno spettacolo teatrale. Sì, era sempre stato così, specie a Campo Real. E lei cominciava ad odiarla quella casa così piena di ambiguità, dove volti e maschere, vero e falso si mescolavano, a favorire inganni e giochi di potere. Non voleva più restare lì. Doveva andarsene. Ma poi? Juan? Si alzò di scatto a sedere sul letto. Perché le era venuto in mente Juan? Perché un po’ alla volta aveva cominciato a pensare a lui sempre più spesso? L’aveva scacciato, l’aveva osteggiato, poi aveva imparato a conoscerlo e a rispettarlo. Solo che non c’era solo questo. Più passava il tempo, più pensare a Juan provocava in lei delle inquietudini, delle emozioni che non riusciva a definire. Lui la turbava. La faceva sentire vicina e lontana. La faceva sentire felice e infelice. Oh, avrebbe voluto che se ne andasse! Per scacciare quei pensieri si alzò dal letto e prese in mano il libro che aveva portato con sé dalla biblioteca. Pensava che quei racconti che lo zio le aveva letto tante volte avrebbero potuto darle un po’ di pace, e che il ricordo di ore serene avrebbe potuto riportarle indietro dal passato un po’ di quella gioia. Ma poi successe qualcosa che cambiò la vita di tutti. Dalle pagine del libro erano cadute tre fotografie. Lei le prese in mano osservandole senza capire. La prima era una foto di suo zio, bello, elegante, sicuro di sé come lei lo ricordava. Caro zio Francisco…… C'era poi una foto di Andrea da bambino, con gli occhi sinceri e un sorriso fiducioso… Lei, guardando quel bimbetto, sorrise a sua volta al ricordo di quel suo cugino che allora le sembrava tanto più grande di lei….. Girò il cartoncino e lesse “Il mio piccolo Andrea” . L’ultima foto rappresentava un ragazzino sconosciuto, vestito modestamente, ma che mostrava una sua naturale dignità. Con insistenza le ricordava qualcuno. La fronte corrugata, lei si sforzava, ma non riusciva a capire a chi la faceva pensare. La prese una sorta di malessere. Chi era quel bambino, di chi era quel volto che era rimasto tra le immagini più care conservate da suo zio. Girò ansiosamente la foto e lesse la scritta che vi era riportata “Juan Aleardi della Valle, il mio figlio primogenito” Stupefatta tornò a scrutare l’immagine del ragazzo, e vide che la guardava con uno sguardo diritto nei suoi begli occhi, che erano gli occhi di Francisco, gli occhi di Juan. Che succedeva? Chi era Juan? Tutto era falso, tutto era ambiguo, doppio. Juan che incontrava nella camera di Anna vestito come un masnadiero, lo sguardo insultante, il sorriso beffardo, e ora vedeva aggirarsi per campo Real in abiti eleganti, che sembrava un signore, che camminava con un passo da padrone. Chi era Juan? Tutti erano doppi, Anna, la zia Sofia, la mamma, modesta e calcolatrice. E non sono forse doppia anche io? Chi era lei stessa, con quale diritto giudicava gli altri quando non riusciva neppure più a capire che cosa voleva veramente, che si tappava gli occhi con le mani per non vedere cosa provava per quell'uomo, che aveva disprezzato, che aveva insultato, minacciato, di cui avrebbe voluto guidare i passi, e che ora le faceva battere il cuore al solo vederlo da lontano Deve uscire da quella casa tetra. Deve andarsene. Spaventata, confusa, corre via ciecamente, come a fuggire da se stessa, le sue angosce, le sue paure. Va avanti nel giardino, in mezzo alle aiole, le mani a trattenere il lungo vestito ornato di azzurro, bella senza saperlo, indifesa, persa nel suo smarrimento. Chi sono io, chi la mamma, e la zia Sofia, e Anna, e Andrea…. Chi è Juan…. I piedini calzati dalle scarpette chiare scendono giù per le scale in un mare di foglie cadute. Fugge, semplicemente, e non sa dove andare. Sa solo che deve allontanarsi, che deve scrollarsi di dosso tutta quella falsità. Non vede né sente niente e nessuno, finché il rumore di una corsa concitata non le rivela la presenza di qualcuno che la sta seguendo. Si gira, spaventata. Lo vede. Vede Juan che corre veloce verso di lei. Juan. Lui. Perché? Finalmente… La raggiunge, si avvicina fino a toccarla, la prende tra le braccia senza parlare, come se non potesse fare altro, guardandola negli occhi. E lei lo guarda e perde i suoi occhi in quelli di lui. Juan la stringe, china la testa e porta le sue labbra su quelle di lei. E lei? A lei improvvisamente tutto questo sembra giusto e naturale. Istintivamente accoglie quell’abbraccio e istintivamente lo ricambia rispecchiandosi nei gesti di lui. Abbandona ogni difesa baciandolo a sua volta, lungamente, profondamente: il suo primo bacio, il suo primo brivido.
“Sai a che cosa mi fai pensare? A una farfalla”. Lei scivola nei suoi ricordi, ripensa sorridendo a quel corridoio scuro, al suo spirito abbattuto, a quella farfalla che l’aveva consolata. Tra le braccia di Juan si sente…… così….. Alza lentamente la testa e lo guarda in viso, gli cerca gli occhi, come per leggervi qualcosa. E rivede gli occhi dello zio Francisco, quegli occhi verdi fermi e teneri, intensi, pieni di affetto e di attenzione. Ma in quelli di Juan c’è qualcosa in più, qualcosa che mi fa battere il cuore, che mi fa tremare e mi fa desiderare di essere sempre….. così…... “Proprio a una farfalla. Colorata, luminosa. Leggera. Sì, leggera. Riesci a regalare a tutti un po’ di bellezza, un po’ di libertà. Sei la mia farfalla”, carezzandole piano le palpebre con le sue dita sottili. E lei non risponde. Ora tutto è in sintonia e il suo mondo è tornato in ordine Felice chiude gli occhi e lui prende a baciarli, ma poi passa a baciarle le gote, lungamente, poi le labbra, e poi ancora le labbra, il respiro sempre più veloce mentre la tiene stretta. La farfalla arriva volando veloce, non si vuol perdere la scena. Gira su se stessa, poi intorno a loro, infine si allontana trionfante mentre Beatrice, la tenera, confusa, forte Beatrice continua a sorridere ai suoi ricordi con l’aria di chi la sa lunga.
Edited by ancoratu. - 13/11/2023, 08:17
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